Cronache USA
Trump, il primo ‘giro di Waltz’ del secondo mandato, effetto ‘Signal-gate’
Di Giampiero Gramaglia
Cento giorni appena passati ed ecco il primo «giro di valzer» del Trump 2, che, con un facile gioco di parole – lo fa pure la Cnn – potremmo chiamare un «giro di Waltz»: Mike Waltz lascia l’incarico di consigliere per la sicurezza nazionale, dove era stato progressivamente emarginato, ma non lascia l’Amministrazione: va a fare il rappresentante permanente degli Usa alle Nazioni Unite.
L’incarico è rimasto scoperto dopo che la deputata dello Stato di New York Elise Stefanik, «virago» trumpiana, era stata indotta a rinunciare alla designazione per non rischiare di assottigliare la già risicatissima maggioranza repubblicana alla Camera (il suo seggio, rimesso in gioco, sarebbe stato molto probabilmente appannaggio dei democratici, con i chiari di luna attuali nei sondaggi).
Al posto di Waltz, ad interim, va il segretario di Stato Marco Rubio, che, a forza di elogiare il capo, sta scalando gli indici di gradimento nell’«inner circle» del magnate presidente. Waltz paga il ruolo nel Signal-gate: si assunse la responsabilità di avere ammesso – disse per distrazione – un giornalista a una chat su Signal in cui vertici civili e militari della difesa Usa discutevano dettagli di un attacco agli Huthi nello Yemen che stava per avvenire.
Ma Waltz paga anche, e forse soprattutto, una certa «non ortodossia» rispetto alla linea dell’Amministrazione, specie sull’Ucraina. Waltz, infatti, è un falco, specie verso la Russia, nei cui confronti avrebbe voluto un atteggiamento più duro, di fronte alla difficoltà di indurla alla tregua, se non alla pace, mentre Trump privilegia il dialogo con il presidente russo Vladimir Putin. Risultato, Waltz era stato in pratica estromesso dalla vicenda ucraina, così come da quella mediorientale, mentre era cresciuto il peso e il ruolo dell’inviato speciale di Trump Steve Witkoff (che, infatti, è, non a caso, fra i candidati a sostituirlo in pianta stabile).
L’incarico di consigliere per la Sicurezza nazionale è fra i più fragili, probabilmente il più fragile, nelle Amministrazioni Trump: nel primo mandato, il magnate presidente ne avvicendò sei, più dei capi dello staff della Casa Bianca (che furono «solo» quattro).
Che il «Signal-gate» non sia la vera o, comunque, l’unica causa dell’avvicendamento di Waltz lo prova il fatto che il segretario alla Difesa Pete Hegseth resta al suo posto. Hegseth era nella stessa chat «incriminata» e per di più è recidivo: è oggetto di un’inchiesta interna del Pentagono per avere condiviso informazioni riservate con persone non autorizzate a riceverle, tipo la moglie, un fratello della moglie e il suo avvocato; e su di lui si addensano critiche crescenti alla sua competenza – sempre contestata – e alla gestione interna delle questioni e del personale del Pentagono.
I repubblicani in Congresso, però, lo proteggono. Con una manovra procedurale, Mike Johnson, speaker della Camera, «trumpianissimo», ha appena fatto fallire il tentativo dei democratici d’avviare un’inchiesta su Hegseth: non se ne riparlerà prima del 30 settembre, quando chissà dove sarà e cosa farà il reduce dall’Iraq divenuto poi conduttore di Fox News e segretario alla Difesa nonostante accuse di violenza sulle donne e problemi con l’alcol.
L’annuncio di Trump, fatto con un post sul suo social Truth, è venuto poco dopo che era circolata notizia che Waltz e il suo vice Alex Wong avrebbero lasciato l’Amministrazione. Il «Signal-gate» risale a fine marzo ed aveva subito indebolito la posizione di Waltz, nonostante il presidente gli avesse inizialmente confermato la fiducia.
