Esteri

Guerra in Ucraina, una svolta (im)possibile. Con Gabriele Natalizia

10
Ottobre 2022
Di Marco Cossu

Con la Guerra in Ucraina l’ordine internazionale è stato messo in discussione, portando all’atto pratico un malessere palesato nel corso degli anni anche se con toni diversi da Russia e Cina. Le due potenze reclamano da tempo un nuovo ruolo nel mondo richiedendo un nuovo assetto dell’ordine globale. Abbiamo incontrato il Prof. Gabriele Natalizia, direttore di Geopolitica.info, per fare un punto su quanto accaduto e quanto accade nel mondo, passando per il pantano Ucraino con i suoi (im)possibili sviluppi. Inverno atomico compreso.

L’ordine internazionale messo in discussione

«L’ordine internazionale c’era e, seppur instabile, c’è ancora. Per ordine, d’altronde, si intendono gli assetti materiali (distribuzione delle risorse) e quelli normativi (valori, principi, modelli politici e istituzioni internazionali) che scaturiscono dalle guerre egemoniche. 

Alla fine della Guerra fredda è avvenuta una ridefinizione tanto della componente normativa che di quella redistributiva dell’ordine internazionale, modellate dagli Stati Uniti e dai loro alleati. All’incirca per un ventennio questo è risultato stabile, perchè non c’erano potenze di rilievo che ne richiedessero la revisione o che, almeno, fossero in grado di far seguire alle loro rivendicazioni delle politiche concrete. Federazione Russa e Repubblica Popolare cinese, che pure avevano già delle regioni di insoddisfazione verso quell’ordine non avevano ancora le capacità per rivendicare pubblicamente una modifica dello status quo. Le potenze revisioniste solitamente sono potenze in ascesa in termini di potere e cominciano a covare una progressiva insoddisfazione verso l’ordine internazionale. 

Negli anni ‘90 la Federazione Russa è incappata in un downgrade di status internazionale dopo il triennio fatidico del 1989-1991, che l’ha vista passare dallo status di superpotenza a quello di potenza regionale. Questo evento è stato percepito come un’umiliazione perché numerosi indicatori materiali di cui ancora disponeva (territorio, popolazione, forze armate, potenza nucleare, riserve energetiche) facevano credere al Cremlino che alla Russia spettasse il riconoscimento di un naturale primato su quella regione formata dagli ex territori dell’URSS, ovvero il cosiddetto “Estero Vicino” o spazio post sovietico. 

«Il Cremlino lega la sicurezza mondiale alla presenza di un sistema multipolare dove la grandi potenze hanno responsabilità nei confronti delle proprie aree geografiche di pertinenza»

Allo stesso modo la Cina, ancora negli anni ‘90 e negli anni ’00, in cui ricordiamo tutti quella crescita doppia cifra che costituì una costante, rimaneva con le sue rivendicazioni sotto traccia, sebbene alcuni motivi di attrito con gli Stati Uniti già esistevano. Pensiamo alla crisi di Taiwan già del 1996, seguita dalla visita dell’allora speaker della camera Newt Gingrich, così come oggi ha fatto Nancy Pelosi. La risposta cinese militare cinese fu meramente dimostrativa. 

Negli anni ‘10 la postura di questi due paesi ha cominciato a cambiare. Sono gli anni che seguono la crescita vertiginosa della Cina e una crescita, anche se molto più modesta, della Federazione Russa. Quest’ultima cresce principalmente grazie al rally dei prezzi energetici tra il 2003 e il 2014. In quegli anni la Russia risolve anche una parte consistente dei suoi problemi interni, quello della spirale inflattiva che la Russia conosce alla fine degli anni ‘90 e soprattutto quelli inerenti la sovranità sul Caucaso settentrionale, non solo la Cecenia ma anche le altre repubbliche. Una volta risolti, la Federazione comincia a rilanciare il progetto della Russia come grande potenza. Nel 2007, con quello che è stato l’incipit di una sorta di escalation culminata del discorso che pochi giorni fa Putin ha fatto prospettando scenari apocalittici, nella conferenza per la sicurezza internazionale di Monaco Putin denuncia il sistema unipolare come un sistema non democratico e pericoloso. Il Cremlino lega la sicurezza mondiale alla presenza di un sistema multipolare dove la grandi potenze hanno responsabilità nei confronti delle proprie aree geografiche di pertinenza. La Repubblica Popolare Cinese, sebbene con toni più pacati, (risuona il motto “Nascondi la tua forza, aspetta il tuo momento” di Deng Xiaoping) sta cominciando a cambiare pubblicamente la sua postura rivendicando un primato sull’area dell’Indo-Pacifico». 

Chi seguirebbe Russia e Cina?

«Allinearsi con gli sfidanti dell’ordine internazionale non è mai una cosa scontata, soprattutto quando questi due sfidanti hanno interessi spesso e volentieri contrapposti. Allinearsi con la Russia non significa allinearsi con la Cina; ricordiamo come i due paesi hanno molte ragioni di attrito. Ad oggi uno dei progetti più importanti della proiezione internazionale cinese, quello della “Belt and Road Initiative”, prospetta un passaggio attraverso un’area, l’Asia centrale, che la Russia considera come suo cortile di casa tanto quanto l’Ucraina. 

Allinearsi con l’una quindi non significa allinearsi con l’altra, ne è esempio l’India: sì è astenuta alle Nazioni Unite sulla condanna alla Federazioni russa, non ha applicato sanzioni, ha tradizionalmente dai tempi della Guerra Fredda un buon rapporto con Mosca ma ha allo stesso tempo un pessimo rapporto con Pechino, considerando la Repubblica Popolare Cinese, insieme al Pakistan, la principale minaccia strategica alla sua sicurezza. Non a caso gli americani parlano di area dell’Indo-Pacifico proprio perché considerano l’India come un fattore di controbilanciamento alla crescita cinese da occidentale, unita al Giappone, Corea del Sud e Australia che sarebbero invece i contrafforti del potere cinese da oriente. 

«Allinearsi con la Russia non significa allinearsi con la Cina; ricordiamo come i due paesi hanno molte ragioni di attrito»

Sono tutti gli stati insoddisfatti. Un caso scuola è l’Iran che lavora per acquistare un’egemonia su una regione progressivamente abbandonata dagli Stati Uniti. Non è da escludere però che la crescita cinese – più mostrerà i muscoli e riuscirà con efficacia ad attuare una politica assertiva – potrebbe innescare quel fenomeno che nelle relazioni internazionali viene chiamato brandwagoning, ossia saltare sul carro di quello che ci si aspetta sia il vincitore di una contesa.

La Corea del Nord è uno di quegli stati che già da tempo può essere considerata come potenza revisionista. La Corea del Nord è l’unico paese con cui la Cina ha un’alleanza che prevede il mutuo soccorso in caso di aggressione. In questa fase, in cui gli Stati Uniti sono in qualche modo distratti da quello che dovrebbe essere il loro core business ossia l’Indo-Pacifico perché sono costretti ad occuparsi nuovamente di Europa, la Corea del Nord ha voluto testare la volontà americana di occuparsi contemporaneamente di tue teatri di crisi».

Gabriele Natalizia, Direttore di Geopolitica.info

Ritorno del mondo a blocchi?

«Qual è l’altro blocco? C’è un blocco coerente “guidato” dagli Stati Uniti che trova tra i suoi alleati i membri della Nato e alcune partnership nell’estremo oriente, penso ai paesi del gruppo QUAD. Dall’altro lato abbiamo l’assenza di un blocco così come lo era durante la Guerra Fredda. Il blocco sovietico era fondato su un trattato che istituiva un principio di mutua difesa, il Patto di Varsavia era il corrispettivo dell’Alleanza Atlantica. La Repubblica Popolare Cinese e la Russia non hanno un legame simile, non c’è un trattato che sancisce che in caso di aggressione di una delle due potenze l’altra sia obbligata ad intervenire in suo favore. C’è una partnership, soprattutto in campo economico, che ha delle implicazioni politico-diplomatiche-militari. Si pensi alle esercitazioni militari che vengono condotte all’interno della Shangai Cooperation Organization, ma nulla di simile ad un blocco, soprattutto tra due paesi che su molti temi sono molto distanti se non addirittura rivali. 

«C’è un blocco coerente “guidato” dagli Stati Uniti che trova tra i suoi alleati i membri della Nato e alcune partnership nell’estremo oriente, penso ai paesi del gruppo QUAD. Dall’altro lato abbiamo l’assenza di un blocco»

Lo spettro del nucleare

«Era qualcosa di preventivabile che prima o poi si sarebbe arrivati a questo discorso da parte russa, soprattutto nel momento in cui le operazioni sul campo non fossero bene così come non stanno andando. Una potenza nucleare nel momento in cui si vede sotto scacco – soprattutto in una guerra in cui pensava di ottenere facilmente un successo – per far desistere l’avversario dall’avanzata usa la minaccia nucleare a scopo di deterrenza. 

Cosa ci dice però la storia? L’ingresso del nucleare nella politica internazionale è stato uno dei pochi game changer realmente intervenuti. Da quel momento in poi non vi sono state più guerre dirette tra grandi potenze nucleari. Non ve ne sono più state anche quando la minaccia nucleare è stata paventata, il caso scuola è la crisi dell’ottobre 1962. Questo non ci dice che non ci saranno guerre nucleari ma che tendenzialmente una guerra nucleare è molto improbabile perché i costi sono molto più alti dei benefici che la vittoria potrebbe arrecare al vincitore. 

La Russia sta prospettando la minaccia nucleare da un lato per disincentivare Stati Uniti e paesi europei a continuare sostenere – diplomaticamente, militarmente ed economicamente – l’Ucraina, dall’altro, in un momento in cui le forze russe sembrano subire la controffensiva del nemico cerca di dissuadere quest’ultimo a portarla avanti. Quello che non sappiamo è se si tratta di un gioco al rialzo o di un ricatto – a cui Putin ci ha abituato e che spesso e volentieri ha dato seguito come è successo con quello posto al governo ucraino a febbraio chiedendogli di dichiarare ufficialmente la decisione di non aderire alla Nato. In quel caso la Federazione Russa ha fatto seguito per evitare che i prossimi ricatti non fossero presi in considerazione. Ha proceduto quindi con “l’operazione militare speciale”. 

«La dottrina militare Gerasimov, formulata dall’attuale capo di stato maggiore delle forze armate russe, prevedeva l’idea dell’escalate to de-escalate nel momento in cui le cose andassero male dal punto di vista militare: aumentare l’intensità dei colpi sparati dalle Federazione Russa, arrivando sino all’arma nucleare tattica»

Con il nucleare parliamo di un ricatto che ha costi molto più elevati e che implica una decisione che non è in mano a una sola persona. Al momento possiamo ancora parlare di deterrenza, anche se non possiamo del tutto escludere che questa guerra non si avviti in una spirale che porti ad un confronto nucleare. Possiamo solo sapere, e questo dice la storia, che le possibilità che ciò avvenga sono basse; tutti gli attori che siedono su questo tavolo traballante conoscono i costi di questa scelta. 

Si parla molto di nucleare tattico e vorrei ricordare che secondo la dottrina militare Gerasimov, formulata dall’attuale capo di stato maggiore delle forze armate russe, questa prevedeva l’idea dell’escalate to de-escalate nel momento in cui le cose andassero male dal punto di vista militare: aumentare l’intensità dei colpi sparati dalle Federazione Russa, arrivando sino all’arma nucleare tattica. Questo tipo di armi hanno una magnitudine ridotta rispetto alle armi nucleari strategiche, servono per terrorizzare il nemico e indurlo alla resa. Va detto che le cose vanno male già da molti mesi e che la dottrina Gerasimov sembrerebbe al momento disattesa. Il discorso di Putin però rilancia l’idea dell’escalate to de-escalate».  

Washington, un negoziatore possibile? 

«Gli Stati Uniti non sono parte direttamente in causa. Naturalmente l’Ucraina non sarebbe nelle condizioni di combattere se non ricevesse il loro sostegno, soprattutto militare, da loro e da parte dei suoi alleati occidentali europei. 

Sicuramente le parti si lanciano dei messaggi, come la velina sulla morte di Daria Dugina. A margine dello scenario prospettato da Putin, inoltre, Biden ha fatto sapere di aver ragionato con alcuni membri del Partito Democratico a casa di James Murdoch sulle via di uscita da questa crisi. 

Quale potrebbe essere ad oggi il ruolo degli Stati Uniti in un negoziato? È molto incerto perché pur non essendo parte in causa, si sono schierati apertamente sulle posizioni dell’Ucraina, al punto che il segretario alla difesa americano ha detto: “Questa guerra serve affinché la Russia non possa più muovere guerre simili a nessun altro”, quindi disarmare la Federazione Russa al punto di renderla inoffensiva. La posizione della Casa Bianca, al netto di un sostegno pubblico mai fatto mancare a Zelenski, sembra stia cambiando, perché se Putin finisse con le spalle al muro il rischio del nucleare diverrebbe concreto».

Negoziatori e mediatori

«I mediatori servono a mantenere aperto il dialogo o per raggiungere una tregua tra i belligeranti. Ma come si risolvono le controversie internazionali se non sul campo di battaglia? Con l’emergere di negoziatori che sono una figura diversa rispetto ai mediatori. Ossia coloro che non solo mettono a sedere le parti al tavolo ma le inducono a fare delle concessioni perché spesso e volentieri sottobanco compensano tali concessioni con dei beni che provvedono a servire.

Pensiamo alle dolorose rinunce che fanno gli israeliani e gli egiziani negli accordi di Camp David, c’era un negoziatore che compensava le parti. Ad oggi manca questa figura perché gli Stati Uniti sono più deboli di prima e hanno una posizione sbilanciata.

Un altro negoziatore possibile è la Repubblica Popolare Cinese ma che, pur avendo le capacità per svolgere tale ruolo, per sua tradizione non lo svolge mai. E se decidesse di intervenire comincerebbe a farlo solo nel momento in cui fosse sicura di raggiungere l’obiettivo. Perché una “prima volta” contraddistinta da un insuccesso costituirebbe un fattore di delegittimazione per una potenza in ascesa sulla scena internazionale.

«Un altro negoziatore possibile è la Repubblica Popolare Cinese ma che, pur avendo le capacità per svolgere tale ruolo, per sua tradizione non lo svolge mai. E se decidesse di intervenire comincerebbe a farlo solo nel momento in cui fosse sicura di raggiungere l’obiettivo»

La Turchia si presenta più come un mediatore. I mediatori, per quanto importanti, tengono aperto il dialogo ma difficilmente sono risolutivi. Cosa potrebbe mettere sotto il tavolo delle parti in causa? Ricordiamoci anche che la Turchia, che svolge questo ruolo ospitando spesso incontri tra le parti sul suo territorio, ha storicamente rapporti altalenanti con la Russia».

Ucraina e Russia, un difficile punto di incontro

«Quando non emerge un vincitore chiaro sul campo di battaglia è inevitabile che le parti facciano delle concessioni se vogliono far cessare le ostilità. Naturalmente le concessioni non possono non essere dolorose, soprattutto per chi è stato oggetto di aggressione. 

Oggi Putin avrebbe difficoltà nel far tornare a casa le sue truppe con un nulla di fatto o perdendo persino territori sotto controllo prima della guerra, come la la Crimea. Insistere sul ritorno della Crimea sia da parte ucraina che da parte occidentale potrebbe essere un modo per alzare la posta in gioco al tavolo della trattativa per rendere la Russia più cedevole su altri temi. Ma se diventasse un richiesta concreta difficilmente si arriverà alla fine delle ostilità.

Cosa potrebbe chiedere la Russia all’Ucraina? La famosa non adesione alla NATO, incredibilmente o credibilmente nei mesi di aprile e di maggio si era prospettata questa possibilità. Invece dopo la minaccia del nucleare l’Ucraina ha dovuto chiedere la procedura di ingresso di urgenza alla NATO. Oggi ritornare indietro su questo è più difficile. Dall’altra parte i russi non hanno vinto sul campo di battaglia anzi e stanno subendo una controffensiva che verosimilmente si arresterà con l’arrivo della stagione delle piogge, trasformando il conflitto in una guerra di logoramento combattuta principalmente con colpi di artiglieria.

A cosa potrebbe invece rinunciare la Federazione Russa? Prima la risposta poteva essere relativamente semplice: a fronte di un ritiro delle forze russe dal Donbass avrebbe mantenuto il controllo sulla Crimea chiedendone il riconoscimento a Kiev. La situazione, tuttavia, si è progressivamente complica. Da un lato perché il recente referendum ha reso dalla prospettiva russa i territori del Donbass come parte del territorio nazionale. Dall’altro perché rispetto alla primavera e nonostante la recente controffensiva ucraina, i russi hanno comunque allargato il loro controllo sul sud-est dell’Ucraina.

«Insistere sul ritorno della Crimea sia da parte ucraina che da parte occidentale potrebbe essere un modo per alzare la posta in gioco al tavolo della trattativa per rendere la Russia più cedevole su altri temi. Ma se diventasse un richiesta concreta difficilmente si arriverà alla fine delle ostilità»

Ricordiamo, infine, che l’obiettivo della Russia all’inizio della guerra era denazificare l’Ucraina e, quindi, ottenere un cambio di governo instaurandone uno filorusso, si era già parlato di un ritorno di Janukovyč a Kiev. Con il cambio degli obiettivi, diventando una guerra di liberazione/annessione, a seconda delle parti, del Donbass, diventa più difficile fare rinunce su questo. Per questi motivi la situazione sembra essersi incartata».

Il bazooka di Berlino, una crepa sul fronte UE

«Sono state messe a nudo delle crepe che esistono da anni. Il progetto di integrazione europea – ci può piacere o meno – rimane un progetto figlio della Guerra Fredda. In questa fase l’integrazione poteva realizzarsi in maniera più agile perché tutti i paesi europei erano alla pari di fronte a quello che era una minaccia strategica allo stesso tempo per tutti, ossia l’Unione Sovietica. Nessuno stato europeo poteva sostenere da solo un tale pericolo e tutti avevano bisogno di un sostegno esterno. Gli Stati Uniti a loro volta non potevano permettersi frizioni tra gli stati europei, come per l’Alsazia e la Lorena, piuttosto che sui dazi sull’acciaio e sul carbone. Gli Usa avevano bisogno di paesi alleati molto coesi tra loro, unità aiutata dalla presenza di un nemico strategico esterno.

Gli Stati Uniti negli anni ‘90 continuano ad essere interessati al continente europeo, lo erano perché erano impegnati a occuparsi dell’eredità politica e diplomatica della Guerra Fredda. Ma quando gli Usa spostano l’attenzione altrove, prima in Medio Oriente e poi nell’Indo-Pacifico, all’interno del continente europeo tornano ad emergere rapporti di forza. E in questi rapporti di forza c’è qualcuno che è più forte degli altri e che ambisce a conseguire una leadership all’interno del processo di integrazione. Quel paese è la Germania e i rapporti tra i paesi europei stanno diventando sempre più asimmetrici».