Politica

Dall’URSS alla Russia. Intervista con Lucio Caracciolo

13
Dicembre 2021
Di Flavia Iannilli

“Gorbaciov licenziato. Un telex di Eltsin al Cremlino: ‘Non sei più il Presidente’. Undici Repubbliche al posto dell’URSS” Così titolava la Repubblica il 23 dicembre 1991, a fargli eco Il Giornale: “E’ la fine del comunismo” pochi giorni dopo. Tra il gennaio del 1990 e la fine del ‘91 il mondo assiste al processo di disgregazione dell’Unione Sovietica. Sgretolamento che coinvolse il sistema politico, economico e sociale che fece emergere l’indipendenza delle repubbliche sovietiche e la restaurazione delle repubbliche baltiche. Ma ad oggi cosa rimane realmente dell’URSS? Il caso ucraino e quello bielorusso, secondo Lucio Caracciolo, direttore di Limes, intervistato in esclusiva sul The Watcher Post, dimostrano che sul fronte egemonico non è cambiato poi molto.

Il 25 dicembre ricorre lo scioglimento dell’URSS, sono passati trent’anni, Limes dedica un numero esclusivamente al tema intitolato “CCCP un passato che non passa”, perché questa scelta?

«È un evento epocale, uno dei più importanti, forse il più importante della seconda metà del ‘900. Un fatto che si riflette sull’attualità e penso, per molto tempo, anche sul domani. In questo nuovo numero di Limes cerchiamo di capire che cosa rimane dell’unione Sovietica.  Stabiliamo che resta molto nell’animo, nella cultura, nella personalità dei russi e naturalmente quello che significa dal punto di vista geopolitico. La fine dell’Unione Sovietica ha determinato la crisi strategica degli Stati Uniti, che oggi vediamo emergere. L’Unione Sovietica svolgeva una funzione sistemica all’interno del mondo dominato dagli Stati Uniti. In primo luogo si occupava di una parte di mondo di cui, adesso, invece, si devono occupare gli americani con effetti di sovraesposizione molto evidenti. In secondo luogo offriva un fattore di legittimazione dell’ideologia americana, che ne rafforzava l’effetto di influenza e di soft power. Essendo scaduti questi due elementi per l’impero americano adesso le cose si complicano».

“Un passato che non passa” a proposito di Repubbliche socialiste sovietiche, la Bielorussia continua ad essere nei pensieri di Mosca, segno che la Russia continua a esercitare un’influenza.

«Tra gli elementi evidenti di continuità tra l’Unione Sovietica e lo spazio post sovietico oggi c’è il fatto che tutti gli attori, a cominciare dalla Federazione russa, alla Bielorussia, all’Ucraina e così via, sono nient’altro che il ritaglio delle repubbliche socialiste federative sovietiche diventate indipendenti. Solo che una cosa è essere una camera in un appartamento, altro è trasformare una camera in un appartamento. Quindi dentro al sistema sovietico avevano una funzione, un ruolo, un rango, ad esempio l’Ucraina è il massimo produttore degli armamenti sovietici, diverso è reinventarsi come Stato sovrano senza far parte di un sistema e questo lo vediamo nel caso bielorusso ed ucraino».

Il Washington Post qualche giorno fa riporta la notizia secondo cui la Russia starebbe pianificando un attacco all’Ucraina. Il Cremlino si è affrettato a smentire la notizia, è credibile pensare ad una nuova campagna in Ucraina?

«Intanto in Ucraina c’è già una guerra, seppur a bassa intensità, nella regione del Donbass in cui la Russia è presente indirettamente ma in maniera evidente a sostegno dei ribelli delle repubbliche separatiste di Donetsk e Luhansk. Il punto è che l’Unione Sovietica non c’è più, ma la Russia, in quanto Paese successore, non può accettare l’idea che l’Ucraina possa diventare un Paese “americano”. Che lo diventi di fatto o di nome, o tutte e due le cose insieme: questo significa che i russi mantengono una pressione molto forte. Non si può escludere che un giorno o l’altro decidano di intervenire in Ucraina, magari per allargare il loro spazio e questo è stato enfatizzato anche da parte americana. Anche perché gli americani stanno cambiando un po’ la postura della NATO, che è sempre più diretta verso est, sulla Polonia, sulla Romania, sui Paesi baltici in funzione anti-russa. Il risultato, però, del vertice Biden-Putin segnala che, almeno per il momento, non dovrebbe esserci questo rischio».

In questo contesto qual è il ruolo dell’Unione Europea?

«L’Unione Europea essendo composta da una quantità di soggetti geopolitici diversi ha delle politiche differenti al suo interno. E ricordiamo anche che l’Unione Europea, come ci spiega Sergio Romano nel libro, è sotto la NATO, essendone, storicamente, una conseguenza. La posizione polacca sulla Russia la conosciamo, è estremamente radicale contro la minaccia egemonica di Mosca; quella italiana è certamente diversa; la tedesca pure. E poi ci sono gli americani che, sostanzialmente, puntano a stabilire un contatto con l’ala estremista, quella dell’Europa orientale, perché questo è, dal loro punto di vista, un elemento di contenimento della Russia». 

Cosa accomuna e divide i leader sovietici da Putin?

«Oggi il leader della storia russa si chiama Stalin che ha una popolarità doppia rispetto a quella di Putin. Evidentemente l’ombra del passato sovietico continua a pesare. Più che l’ombra direi che Stalin viene identificato con la vittoria della guerra. L’unico grande evento glorioso di cui i russi di oggi possono vantarsi rispetto al passato sovietico, una compensazione rispetto all’attuale crisi. Certo è che la Russia storicamente ha sempre avuto bisogno di leader con una postura piuttosto autoritaria e forte come riferimento, ma questo appartiene alla cultura di regime».

È d’accordo con la teoria secondo la quale gli interessi geopolitici in futuro si sposteranno dal controllo fisico dei territori con gli armamenti al predominio sull’aerospazio e sui dati informatici, con un sempre minore ricorso a missioni lunghe e dispendiose?

«Penso che sia un dato di realtà, faremo anche un numero dedicato all’aerospazio, inteso come quarta dimensione, e al cyberspazio, inteso come quinta dimensione. Si può avere una capacità di controllo della terra e naturalmente una capacità militare. Sicuramente lo spazio è oggi decisivo per i famigerati missili ipersonici, che cambiano qualitativamente gli armamenti a livello mondiale. Questo accade per le potenze che ne sono in possesso, quindi Russia e Cina, gli Stati Uniti non lo dicono, ma sicuramente ne sono provvisti anche loro. Quindi la presenza di forti contingenti militari per controllare delle aree non è più così evidente».