Politica

Ucraina, Luca Frusone: «Il rischio è di lasciare la Russia nelle mani della Cina»

08
Aprile 2022
Di Flavia Iannilli

Prende piede il ricatto sul gas di Putin. I paesi europei continuano a stare sull’attenti nonostante Mario Draghi continui a perseguire la via degli euro. In questo ampio scenario la propaganda la fa da padrona tra Zelensky che ritiene inadeguate le sanzioni e chiede di cambiare modalità di contrattacco e Putin che, nonostante il malcontento interno alla Russia, rimane ancorato alle poltrone del potere senza che alcun oligarca batta ciglio. L’intervista con l’On. Luca Frusone (M5S) membro della Commissione Difesa alla Camera e Presidente della Delegazione parlamentare italiana presso la NATO, per analizzare non solo la posizione e le scelte delle Nazioni Unite ma anche il ruolo dei paesi che, anche se da lontano, partecipano al conflitto.

Da tempo si parla della richiesta di adesione alla NATO dell’Ucraina, Putin ne ha fatto un casus belli. Ma l’Ucraina ha veramente una valenza strategica per la NATO?
«La premessa è che tutte le richieste di adesione devono passare per un processo lungo e devono essere valutate attentamente. La NATO impiega molto tempo per accettare l’adesione di un paese che ne fa richiesta. Nel caso specifico i primi contatti con l’Ucraina risalgono a più di 20 anni fa. Prima dell’inizio delle ostilità, l’Alleanza Atlantica era stata chiara nell’affermare che l’Ucraina non era ancora pronta e doveva compiere altre riforme.

Dal punto di vista militare una vera e propria valenza strategica non c’è, ma possiamo immaginare un altro tipo di scenario. Entrare all’interno di un’organizzazione internazionale, dalla NATO all’Unione europea, significa avere uno sviluppo dal punto di vista delle capacità istituzionali. Parlo di un processo evolutivo che, a livello normativo, permette di avvicinarsi alle nazioni occidentali. Questo comporta regole migliori che favoriscono lo scambio di merci, lo spostamento di persone e una maggiore sicurezza negli investimenti. Si attiva così un processo virtuoso per l’economia. La politica delle “porte aperte” è questo: per tale motivo non possiamo parlare di una vera valenza militare per quanto riguarda l’Ucraina. Anzi erano talmente tanti i dubbi che il processo era in stand-by. Nei paesi membri è sempre stata palese la consapevolezza che l’adesione dell’Ucraina avrebbe creato ulteriori motivi di contrasto con la Russia. Per chi dice invece che non è bello avere basi militari al confine, occorre ricordare che ci sono già paesi che fanno parte della NATO e che confinano con la Russia. Così come del resto ci sono già basi russe ai confini dell’Alleanza, come nell’enclave di Kaliningrad, dove sono presenti missili puntati su capitali europee. Per questo motivo l’idea di Putin dell’espansione della NATO è un pretesto. La NATO è un’alleanza difensiva e ha l’obiettivo di rafforzare i propri confini per avere maggiore deterrenza ed essere pronta ed efficiente a difendere gli Stati membri da eventuali attacchi esterni».

C’è chi ha parlato di un format preconfezionato che si adatta ad ogni paese in riferimento alla propaganda del Presidente ucraino, lei è d’accordo? Quanto sta influendo sull’andamento del conflitto? La trova una strategia efficace?
«Posso dire che Zelensky, anche dopo l’intervento alla Camera dei deputati, bilancia gli interventi a seconda dell’interlocutore. É un comunicatore. Da una parte lo comprendo quando usa dei toni duri perché vuole spronare all’azione gli altri paesi, cercando di far capire quanto sia difficile la situazione, anche con delle provocazioni. Qualsiasi leader nazionale, in una situazione del genere, proverebbe tutte le strade possibili, nessuno gliene fa una colpa. Ma dal punto di vista dell’efficacia ritengo che alcuni toni utilizzati potrebbero essere controproducenti. Ho notato che continuare a chiedere determinati sistemi d’arma ha portato alcuni cittadini a ritenere che lui stesso voglia il conflitto. Bisogna però calcolare che noi lo vediamo sempre dall’esterno, come se lui comunicasse solo a noi. Zelensky, invece, comunica in primis alla sua gente che ha bisogno di un leader che non getta la spugna, ad un popolo che non sa se scappare o se rimanere a combattere. Se molti Ucraini anziché scappare sono rimasti e altri addirittura sono tornati per combattere è anche perché lui ha comunicato efficacemente che il paese non si arrendeva e che la resistenza del popolo ucraino era efficace».

Al contrario da occidente la propaganda di Putin sembra completamente fallimentare, si dice che il Presidente russo sia intimorito dal rischio congiure interne. Lei che opinione ha?
«Questo rischio potrebbe esserci. Tuttavia non è facile quantificarlo perché la corte interna di Putin è sempre stata un’area grigia. Non siamo mai riusciti a comprendere bene quanto fosse la lealtà al capo e quanto quella all’obiettivo. Se la lealtà è verso Putin sarà difficile un’ipotesi di cambio di leader, se la lealtà è verso il sistema, chiunque, in un certo senso, al posto di Putin, potrebbe garantirlo. Però bisogna fare attenzione perché anche in caso di un cambio di leadership ci sono dei rischi che devono essere calcolati. L’idea di un cambio di regime porterebbe la Russia nel caos. Parlo di guerre interne per ottenere l’indipendenza. Questo potrebbe creare un effetto domino che destabilizzerebbe la Russia, un quadro che in primis non farebbe bene a noi in qualità di europei, ma non gioverebbe neanche agli Stati Uniti. Per questo è necessario fare attenzione al messaggio che si vuole mandare, sapendo che il conflitto non è con il popolo russo».

Zelensky ha da poco denunciato il fatto che le sanzioni non bastano a fermare l’avanzata, nonostante abbiano delineato un quadro economico russo in discesa. Secondo lei, i pacchetti sanzionatori, spingeranno la Russia al ritiro? E quali altri strumenti possono essere messi in campo?
«Questa affermazione di Zelensky è quello che affermavo precedentemente: tenta il tutto per tutto. Se avesse ottenuto la no-fly zone subito, avrebbe richiesto qualcosa in più. Ora il suo obiettivo è quello di avere più aiuti possibili e per averli è necessario dichiarare che quanto fatto non basta. Ma ritengo che le sanzioni siano lo strumento principale, sia perché è ciò che possiamo mettere in campo rapidamente, sia perché stanno facendo male alla Russia. Può innescare quel processo di ripensamento della leadership russa. Da sottolineare che gli oligarchi stanno perdendo molto. Si possono inasprire di più le sanzioni, ma passare da un mezzo economico ad uno militare oggi è impossibile per quello che è stato detto in tante occasioni, ci porterebbe ad essere parte attiva del conflitto».

Alla luce di quanto sta accadendo, come sta valutando la posizione della Cina?
«La Cina sta ricevendo delle ripercussioni economiche ma è in grado di assorbirle. Però ha una posizione quasi di “win win”. Se la guerra continua, gli scenari per la Cina sono due. Una richiesta di aiuto da parte della Russia, il che significherebbe una sottomissione della Russia che sconterà negli anni a venire. Tuttavia, qualora il conflitto si prolunghi, si potrebbe assistere ad un indebolimento economico, in grado di spalancare le porte agli investimenti a basso costo dei cinesi su territorio russo. Per questo, a prescindere da come andrà a finire, ritengo che sia importante la tempestività europea per sostenere la Russia. Il rischio è quello di lasciare la Russia nelle mani della Cina e questo creerebbe non pochi problemi. Ritengo però che la Cina non sia credibile come potenziale attore della terza guerra mondiale. Non perché non ne ha i mezzi ma perché non vuole. Ha bisogno di anni di calma, soprattutto nell’Indo-Pacifico, al fine di raggiungere il suo obiettivo prevalentemente economico-culturale piuttosto che bellico».

Questi scenari a est dell’Europa avranno ripercussioni sui delicati equilibri nel Mediterraneo?
«Purtroppo credo di si. Perché dopo tanto tempo, a seguito della caduta del muro di Berlino, la NATO aveva intrapreso un adattamento che l’aveva portata a cercare di anticipare l’acutizzarsi di alcune minacce. Pericoli che riguardavano il Mediterraneo per via del terrorismo, dei flussi migratori e delle riserve energetiche. Non vorrei che questa situazione con un fronte est così caldo faccia di nuovo calare l’attenzione su quello che sta accadendo nel Mare Nostrum. Altrimenti tra 5/10 anni ci ritroveremo con una situazione difficilissima da gestire perché la parte del Nord Africa e del Medio Oriente è sempre più una prateria da “conquistare” sia per la Russia che per la Cina. In Libia c’è una consistente sfera di influenza russa. Se si va in altri paesi dell’Africa centrale, la presenza cinese è fortissima. Se oggi trascuriamo quest’area, perché focalizzati esclusivamente sul fronte est, nei prossimi anni non avremo tempo per recuperare. Per questo spero che nel nuovo Concetto Strategico sia riaffermato il ruolo strategico del Mediterraneo e che, non solo a parole, ci sia questa attenzione».