Politica

Referendum giustizia alla sfida del quorum. Igor Boni (RI): “Spingiamo il Parlamento a riformare il sistema”

05
Giugno 2022
Di Andrea Maccagno

Una settimana al voto sui referendum giustizia. Domenica 12 giugno saranno chiamati alle urne oltre 50 milioni di italiani, compresi quelli all’estero. Il risultato da guardare sarà principalmente uno: il quorum. Infatti, per essere approvati, i quesiti devono ottenere una doppia maggioranza assoluta: di sì e di affluenza.

Quest’ultima è in parte sostenuta dall’election day. Domenica prossima, infatti, si terranno in contemporanea le elezioni amministrative in 978 comuni, che vedono il coinvolgimento di circa 9 milioni di elettori. Ciononostante, le previsioni della vigilia rendono assai complicato pensare ad una larga partecipazione.

Questo perché i quesiti rimasti in campo sono piuttosto tecnici e sui quali non si è innestato un particolare sentimento popolare da parte dell’elettorato. Storia diversa sarebbe stata con anche i referendum sulla responsabilità civile dei magistrati, oltre a quelli su cannabis ed eutanasia, che insieme avevano raccolto più di 1,8 milioni di firme.

Ma d’altronde, si fa con quel che si ha. E cioè con quello che rimane. Cinque quesiti appunto: abrogazione della cd Legge Severino (scheda rosa), che interdice automaticamente dai pubblici uffici i condannati a due anni di reclusione e che sospende dalle cariche territoriali i condannati in primo grado; abrogazione della custodia cautelare (scheda arancione) limitatamente al pericolo di reiterazione del reato; abrogazione della possibilità di passaggio per i magistrati dalla funzione requirente a quella giudicante (scheda gialla); abrogazione dei limiti imposti ai membri laici dei Consigli giudiziari in tema di valutazione dei magistrati (scheda grigia); abrogazione della raccolta firme per la candidatura di un magistrato in seno al CSM (scheda verde).

Tecnicismi, diranno i più. Quelli cioè che abbiamo incontrato nel pieno centro di Torino, in via Garibaldi, in un sabato mattina al tavolo informativo di Radicali Italiani e +Europa. Qui, pochi si fermano a chiedere informazioni, mentre alcuni si lasciano appena convincere a ricevere un volantino. Altri proseguono disinteressati la propria passeggiata.

“Non c’è la stessa spinta che abbiamo conosciuto la scorsa estate con la raccolta firme su eutanasia. Aver estromesso quel quesito è servito a spuntare le armi allo strumento referendario. Una scelta che ha oltrepassato i poteri che l’articolo 75 della Carta dà alla Corte Costituzionale: un fatto che denunciamo da inascoltati da anni”, ha commentato Igor Boni – presidente di Radicali Italiani – che ci ha dato appuntamento al loro banchetto.

Presidente Boni, la battaglia per una Giustizia Giusta è alle radici della vostra storia. Perché il voto di domenica è un appuntamento importante?
Ritengo sia importante recarsi alle urne, perché votando si produce un chiaro effetto legislativo sul tema. Se vincono i sì, inoltre, diamo una spinta concreta ad una riforma che – come radicali – promuoviamo dal caso Tortora e dal referendum del 1987 sulla responsabilità civile dei magistrati. Ebbene, siamo ancora lì. I referendum colgono solo parzialmente alcuni elementi, seppur fondamentali. Basti pensare alla separazione delle carriere dei magistrati: è folle che ci siano da una parte gli avvocati e dall’altra giudici e accusatori con lo stesso percorso di carriera. O all’abuso della custodia cautelare: le carceri per un terzo sono piene di persone in attesa di giudizio definitivo. Tutto questo imporrebbe al Parlamento una riforma e invece continua a non farsi nulla. Quella Cartabia è un grandissimo lavoro, ma incompleto.

Un suo giudizio sulla legge Severino?
La Costituzione, che di per sé è garantista, ci dice che una persona è innocente fino al terzo grado di giudizio. La legge Severino, che estromette in maniera automatica dagli incarichi pubblici i condannati a due anni di galera e che sospende i condannati in primo grado – rovinando la reputazione a chi poi risulta innocente – è un legge giustizialista (peraltro retroattiva) fuori dal dettame costituzionale. È stata il frutto di un’onda populista e demagogica che va definitivamente infranta. Il giudice deve tornare a decidere se chi si è macchiato di un particolare reato può candidarsi oppure no, senza alcun automatismo per legge.

Altro tema rilevante: l’informazione. Dal 7 aprile al 21 maggio i TG Rai hanno dedicato al tema referendum neanche due ore di tempo (dati Agcom): un vulnus democratico?
L’informazione pubblica attua una chiara violazione di legge. La Rai ha il dovere di informare i cittadini e non lo sta facendo. Non è una novità: è la storia che si ripete. È una “scelta editoriale”, come ci ha candidamente affermato il Direttore di Rai 2 in un incontro che abbiamo intrattenuto la settimana scorsa. È una scelta politica, perché l’obiettivo è non far raggiungere i quorum. Il combinato disposto tra l’azione della Corte che elimina i quesiti più importanti, l’(in)azione della politica che non attua le riforme che dovrebbe e l’(in)azione dell’informazione che non consente ai cittadini di conoscere i temi referendari, spinge a non ottenere il quorum e a mantenere una situazione di irriformabilità di questo Paese. È una lotta di oltre mezzo secolo dei radicali.

Su questo sta creando dibattito la denuncia di Calderoli, che si è imbavagliato contro il silenzio dell’informazione sui referendum…
La Lega è responsabile di tanti dei mali degli ultimi decenni in Italia. In particolare, sull’informazione è pienamente addentro alla lottizzazione politico-partitica della Rai Tv. Quindi potrebbe, da partito che la lottizza, imporre un cambio di passo dei canali pubblici. Inoltre, proprio sui referendum, la Lega ha attuato un’azione “truffaldina” nei confronti dei cittadini. Ci ha raccontato di avere le firme necessarie per presentare i quesiti. Invece i referendum sono stati richiesti dai Consigli regionali. Ora, a una settimana dal voto, scimmiottare l’azione nonviolenta di Marco Pannella ha sì un effetto positivo perché permette che se ne parli. Ma rimane una scimmiottatura di una storia che è immensamente più grande di quella di Calderoli.

Sempre la Rai, invece, ha dato spazio all’invito di Littizzetto di andare al mare il giorno del voto, sabotando di fatto il raggiungimento del quorum. Un fatto grave?
La nostra Costituzione ci consegna due schede, una per le elezioni e l’altra per i referendum. Se noi rinunciamo ad andare a votare per far fallire un referendum, quindi anche per un legittimo motivo strumentale, stiamo distruggendo quella seconda possibilità di scelta che la Carta ci dà: anche per il futuro. L’invito è alla battaglia, allo scontro democratico aperto e frontale: se siete per il No, veniteci a dire nelle urne perché volete mantenere l’abuso della custodia cautelare o perché volete mantenere le carriere unite tra chi giudica e chi accusa. Luciana Littizzetto, in modo un po’ populista, ha detto qualcosa che in passato hanno esplicitato anche i politici. Ma farlo in Rai, in un programma di massimo ascolto e senza possibilità di contraddittorio, è una delle tante violazioni del servizio pubblico radio-televisivo. A Luciana Littizzetto, dalla nostra via Garibaldi di Torino, piuttosto dico: vieni a confrontarti pubblicamente con noi, mi piacerebbe spiegarti perché il tuo andare al mare è complice di un regime che tu stessa dici di voler combattere.

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