Innovazione

Arrivano i fondi del Pnrr per la Transizione digitale

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Marzo 2022
Di Daniele Bernardi

Si è tenuta questo martedì (22 marzo) la conferenza sul Pnrr e la transizione digitale del nostro paese. Dopo il ventesimo posto rimediato nella classifica del Digital Economy and Society Index, le istituzioni alzano la posta e guardano ai prossimi obiettivi.  

L’Italia è al ventesimo posto nella classifica del 2021 sulla digitalizzazione, stilata dall’Unione europea e ottenuta calcolando il Digital Economy and Society Index, anche detto Desi. In risalita negli anni, ma resta una magra consolazione, visti i paesi che ci seguono: Cipro, Slovacchia, Ungheria, Polonia, Grecia, Bulgaria e Romania.

D’altronde, si sa, la digitalizzazione non è mai stato il nostro punto forte. Qualcosa però sta per cambiare. Abbiamo già ricevuto alcuni fondi del piano Next Generation Eu e presto ne arriveranno degli altri. La seconda quota più grande, dopo l’ambiente è proprio quella sulla transizione digitale: il 27% degli oltre 200 miliardi del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza.

Ma come verranno spesi questi soldi? Ne hanno parlato Paolo Micozzi (membro del Dipartimento della transizione digitale presso la Presidenza del Consiglio dei ministri), Pasquale Ferro (Capo del Servizio Tesoreria di Banca d’Italia) e Monica Gabrielli (Head of digital experience presso SOGEI) in un webinar, organizzato presso l’università Luiss Guido Carli di Roma, dal titolo “PNRR e Transizione digitale”.

Come illustrato da Monica Gabrielli e Paolo Micozzi, i fondi europei verranno spesi seguendo due piani, il primo entro il 2026, il piano Italia Digitale, ed il secondo entro il 2030, Bussola Digitale. Da qui ai prossimi quattro anni, il governo punta ad erogare l’80% dei propri servizi essenziali online (il 100% nei quattro anni successivi) e portare il 75% della pubblica amministrazione ad utilizzare una piattaforma Cloud dello stato, diffondere l’identità digitale (SPID) fino al 70% della popolazione (80% nel 2030) e infine, non meno importante, colmare il gap di competenze digitali di almeno il 70% della popolazione (anche in questo caso si cercherà di salire di un altro 10% entro il 2030).

Uno degli aspetti più delicati, spiega Micozzi, sarà la costruzione di reti ultraveloci, per cui verranno investiti ben 6,71 miliardi di euro. Questi fondi saranno impiegati per la realizzazione di cinque piani. I primi due sono ‘Italia 1 Gbps’ e ‘Scuola connessa’ che mirano a portare connessione ultraveloce a 1 Gbps in tutte le case e in tutte le scuole pubbliche del paese. Le gare d’appalto per scegliere chi fornirà questi servizi termineranno il 1° marzo. A questi due piani si aggiungono quello di ‘Sanità connessa’, volto a costruire una rete del Servizio sanitario nazionale chiusa e ad alta velocità, ‘Collegamento Isole Minori’ che porterà banda ultra-larga alle isole mediante collegamenti sottomarini e ‘Italia 5G’, che punta a portare la connessione mobile di ultima generazione in tutti i luoghi abitati d’Italia sfruttando proprie infrastrutture. Solo per quest’ultimo piano sono stati istituiti due bandi da 1 miliardo di euro l’uno.

L’altro settore altrettanto delicato è quello dei pagamenti. Come fa notare Pasquale Ferro di Banca d’Italia, i paesi che occupano generalmente le prime posizioni nelle classifiche mondiali su innovazione e digitalizzazione, sono anche quelle con i sistemi di pagamento più avanzati. Ed è su questo binario, dunque, che il governo italiano sta investendo tempo e risorse già da alcuni anni. Va in questa direzione la creazione di SIOPE+, l’infrastruttura attraverso cui vengono trasmesse tutte le disposizioni di incasso e pagamento delle amministrazioni pubbliche locali. Questo sistema informatizzato ha permesso ad esempio di monitorare i tempi di pagamento e ridurli da 55 giorni nel 2018 (data di creazione di SIOPE+) a 42 nel 2021, passando da una media di 8 giorni di ritardo a ben 6 giorni di anticipo. A SIOPE+ si aggiunge la piattaforma PagoPA che consente ai cittadini di pagare online i servizi erogati dalla pubblica amministrazione. Attualmente solo il 9% delle amministrazioni ha aderito direttamente alla piattaforma, mentre oltre due terzi lo fa attraverso un partner intermediario e addirittura il 12% non ha ancora aderito (per lo più servizi comunali e regionali). In quest’ottica rientra l’obiettivo di cui prima di raggiungere almeno l’80% dei servizi pubblici essenziali erogati online entro il 2026. Non va meglio la situazione per i servizi che sfruttano l’autenticazione tramite SPID, l’identità digitale: solo il 22% dei servizi provinciali e il 27% di quelli comunali ha implementato la tecnologia, meglio le regioni (88%).

La causa dell’arretramento nella digitalizzazione in Italia è da rinvenire principalmente nella scarsa formazione e nell’analfabetismo digitale diffuso nel nostro paese. Sarà questo il primo scoglio da affrontare prima di implementare gli altri servizi. Perché, dice Micozzi: “l’Italia è sempre un po’ in ritardo, ma questa volta non ce lo possiamo permettere”. Dal raggiungimento di questi obiettivi dipende l’arrivo dei fondi e con essi la speranza in una migliore Italia, domani.

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