Esteri

Perché Trump ha scelto il primo viaggio ufficiale nei Paesi Arabi

12
Maggio 2025
Di Paolo Bozzacchi

Doppia valenza. È questa l’impressione a caldo dopo l’annuncio del primo viaggio ufficiale organizzato del Presidente USA Donald Trump nei Paesi Arabi (Arabia Saudita, Qatar ed Emirati Arabi Uniti) che si terrà già questa settimana. Il primo piano di analisi è ben riassunto dal commento di un funzionario saudita: “Business, business, business!”. Nel pieno rispetto della linea trumpiana della trattativa su tutto, per difendere gli interessi economici e commerciali made in USA, soprattutto internamente rispetto al proprio elettorato repubblicano. Ma non solo. Sullo stesso piano di analisi va inserita anche la mossa da puro competitor anti-cinese di andare a mettere sul tavolo arabo una fiche molto importante, sulla base della consapevolezza di aver perso nell’area una buone dose di competitività rispetto a Pechino. D’altronde è un fatto acclarato che la Cina abbia investito negli ultimi anni cifre impressionanti in primis in Arabia Saudita, e negli altri Paesi arabi. Tornare a Washington (e a Mar-a-Lago) con accordi e promesse di investimento per circa mille miliardi di dollari, sarebbe quindi un successo significativo per l’Amministrazione Trump in questa fase complessa, dominata dai conflitti armati e commerciali. Significherebbe recuperare tempo e punti persi, ovviamente secondo Trump a causa degli sfaceli internazionali compiuti dalla presidenza Biden.

Le promesse arabe
Il Principe ereditario saudita, Mohammed bin Salman, subito dopo l’elezione di Trump aveva promesso 600 miliardi di dollari di investimenti negli Stati Uniti nei prossimi 4 anni. A Trump non bastano: «Ci andrò se pagherete mille miliardi alle aziende americane in 4 anni», ha rilanciato Trump a marzo incontrando la stampa a stelle e strisce. Questa la posta in gioco del Business Forum in Arabia Saudita, con le imprese saudite e americane dal focus tecnologia, intelligenza artificiale ed energia. Al quale secondo il Financial Times parteciperanno i Ceo delle big tech statunitensi (Elon Musk, Sam Altman, Mark Zuckerberg, Larry Fink). Sul piatto almeno 100 miliardi di dollari di forniture militari per missili, sistemi radar e aerei da trasporto e accordi nei settori energia e minerario. Stessa musica in Qatar, con il previsto annuncio di investimenti tra i 200 e 300 miliardi di dollari, incluso un mega accordo su aerei commerciali con Boeing. Musica che negli Emirati si farà sinfonia per Donald, con 1400 milioni di dollari di promesse di investimenti negli USA nei prossimi 10 anni nei settori semiconduttori, energia, manifatturiero e intelligenza artificiale. 

La seconda valenza del viaggio è a sua volta doppiamente geopolitica. Da un lato ben illustrata dal Washington Post col claim “bypass Israel”che la dice tutta. Dall’altro c’è la questione molto aperta del nucleare iraniano. Che pesa non poco sulla trattativa araba di Trump. Le pressioni saudite, qatarine ed emiratine potrebbero essere molto forti per una urgente distensione tra Teheran e Washington. Che significherebbe nell’area una de-escalation del conflitto mediorientale.  

Accordi di Abramo: la questione di fondo
Basso profilo americano su uno degli obiettivi diplomatici di fondo di Trump: gli Accordi di Abramo, cioè la normalizzazione delle relazioni tra Arabia Saudita e Israele. A sensazione il dossier al momento, vista la troppo complessa congiuntura internazionale, resta nel cassetto. Ma la temperatura del fascicolo non è da considerarsi affatto fredda. C’è di mezzo la drammatica, urgentissima questione umanitaria della Striscia di Gaza, molto più sentita nel contesto mediorientale che in occidente. E la rigidità di Israele che ostinatamente rifiuta un cessate il fuoco, stavolta, potrebbe più unire che dividere.