Esteri

Trump e Putin non fanno (ancora) la pace. Netanyahu fa (sempre) la guerra

20
Maggio 2025
Di Giampiero Gramaglia

Una telefonata può tenere aperto il dialogo, ma non necessariamente avvicinare la pace. I presidenti Usa Donald Trump e russo Vladimir Putin si parlano al telefono per oltre due ore: molte parole e tante speranze, ma pochi fatti e nessuna certezza. E sembra quasi che l’onere della prova di volere la fine della guerra torni a carico dell’Ucraina invasa: al giornalista che gli chiede se Kiev faccia abbastanza per trattare, Trump risponde «Ve lo dirò in due settimane». Il magnate presidente resta convinto che Putin «voglia la pace» e rivela di avere «una linea rossa» nel perseguire un negoziato fra i due rivali. Quale? «Non lo dico perché renderebbe la trattativa più difficile».

L’impressione è che Putin ed il presidente ucraino Volodymyr Zelensky vogliano entrambi evitare rotture con Trump più che trovare un’intesa fra di loro. Putin apre a un cessate-il-fuoco, ma i tempi sono tutti da definire: sicuramente non subito e non di 30 giorni. Zelensky, che si sente spalleggiato dai Volenterosi europei, non smentisce l’annuncio di Trump che Kiev e Mosca inizieranno a trattare «immediatamente una tregua» e, «ancora più importante, a negoziare la fine della guerra», lasciando, però, gli impegni vaghi e indeterminati.

La lettura, come sempre ottimistica nei tempi e nei fatti, della Casa Bianca si stempera nella cautela del Cremlino: i contatti tra Russia e Ucraina sono stati ristabiliti e sono già in corso, come prova l’incontro di Istanbul venerdì scorso, dice il portavoce di Putin Dmitry Peskov. Un memorandum tra Russia e Ucraina? Le parti elaboreranno bozze e se le scambieranno per ricavarne un testo unico: «Non ci sono scadenze e non possono essercene – precisa Peskov –. È chiaro che tutti vogliono farlo il più rapidamente possibile, ma il diavolo si nasconde nei dettagli… Ci vorranno contatti complessi per elaborare un testo unico».

Quanto al luogo del negoziato, il Vaticano s’è messo a disposizione, fa sapere il vicepresidente Usa JD Vance, rientrando a Washington dopo un incontro, ieri, con Papa Leone XIV. «Fantastico», gli fa eco Trump, che non rinuncia a mettere il cappello sul primo Papa nato negli Stati Uniti. I russi frenano, «Non è stata ancora presa alcuna decisione»: «Sappiamo dell’iniziativa del Papa e siamo grati a tutti coloro che sono disposti a dare il loro contributo. Ma nulla è stato deciso su dove proseguire i possibili futuri negoziati». Peskov, inoltre, chiarisce che un incontro tra Putin e Trump «non è in preparazione».

I commenti del Cremlino rischiano di alimentare «la frustrazione» di Trump – il termine è di Vance – sui tempi lunghi della guerra ucraina, che lui contava di chiudere da un giorno all’altro, appena insediatosi alla Casa Bianca. La Casa Bianca mantiene una facciata ottimista: definisce la telefonata «eccellente nei toni e nello spirito», nonostante gli impegni scaturiti siano vaghi nei contenuti e indeterminati nei tempi. Le «condizioni» delle trattative «saranno negoziate tra le due parti, perché solo loro conoscono i dettagli della situazione», ammette il magnate presidente.

Trump era al telefono dalla Casa Bianca, Putin da Sochi in Crimea per l’inaugurazione d’una scuola di musica. Russi e ucraini lavoreranno a un memorandum per un «possibile trattato di pace futuro» che stabilisca tra l’altro «un possibile cessate-il-fuoco per un certo periodo se i relativi accordi saranno definiti», fermo restando – insiste Mosca – che «servono compromessi che soddisfino ambedue le parti» e, soprattutto, che è necessario «eliminare le cause di fondo» del conflitto.

Zelensky, aggiornato da Trump sulla telefonata con Putin, si dice pronto a studiare il memorandum, ma ribadisce che Kiev non si ritirerà dalle zone sotto suo controllo – nelle regioni di Donetsk, Lugansk, Kherson e Zaporizhzhia -, condizione posta dai russi a Istanbul.

A sorpresa, Trump aveva sentito il leader ucraino anche prima della telefonata col presidente russo, che sembra continuare a perseguire l’obiettivo di guadagnare tempo e di andare avanti con la guerra. «Penso che Putin non sappia come uscire dal conflitto», aveva detto Vance prima che i due leader si parlassero.

Per smuoverlo, i partner europei degli Stati Uniti pensano a nuove pesanti sanzioni contro la Russia e chi l’aiuta. Dopo la telefonata fiume, Trump ha aggiornato i suoi maggiori interlocutori europei, inclusa la premier italiana Giorgia Meloni, la cui attività diplomatica tra domenica e lunedì è stata molto intensa.

Nel fine settimana, la Russia ha compiuto l’attacco con droni sull’Ucraina più vasto dall’inizio dell’invasione, lanciandone 273 in una sola notte, per lo più nella regione di Kiev – due le vittime, secondo le fonti ucraine.

Medio Oriente: Israele vuole controllare tutta la Striscia
Israele è decisa ad assumere il controllo «di tutto il territorio» della Striscia di Gaza. Lo afferma Benjamin Netanyahu, premier israeliano, che ha ieri ceduto parzialmente alle pressioni degli Usa per lo sblocco dell’ingresso degli aiuti.

Netanyahu riconosce che gli alleati di Israele sono preoccupati per le «scene di fame» nella Striscia, ma precisa che gli aiuti concessi saranno «minimi» – si parla di alcuni delle centinaia di tir bloccati ai valichi – e non specifica quando il flusso riprenderà in modo costante. Il blocco risale alla metà di marzo, quando saltò la tregua con Hamas.

La scorsa settimana, non solo l’Onu e gli europei, ma anche l’Amministrazione statunitense avevano manifestato il loro disagio di fronte alla situazione umanitaria nella Striscia.

Impedire l’ingresso di viveri, medicine e carburante dovrebbe aumentare la pressione su Hamas perché rilasci gli ostaggi tuttora detenuti: 58 persone, 35 delle quali già dichiarate morte.

Sul piano militare, l’Idf ha avvisato i residenti di Khan Yunis, Bani Suheila e Abasan che avvierà una «offensiva senza precedenti», invitando gli abitanti a mettersi al sicuro.