Esteri
Israele-Iran: Trump tentenna, il mondo trattiene il fiato
Di Giampiero Gramaglia
L’indecisione del presidente Usa Donald Trump se attaccare o meno l’Iran è l’incertezza del mondo intero, perché il rischio di un allargamento del conflitto dipende dall’ordine che darà, o meno, il magnate presidente. L’opinione pubblica negli Stati Uniti è divisa e anche i sondaggi danno risultati diversi a seconda dell’orientamento politico di chi li fa: uno della Fox News mostra un’0inclinazione all’interventismo; uno del Washington Post indica che il 45% degli intervistati sono contrari a un coinvolgimento diretto nella guerra scatenata da Israele contro l’Iran, il 25% favorevoli e ben il 30% non hanno (ancora?) un’opinione. C’è una spaccatura, che certamente influisce sui tentennamenti di Trump, nel campo Maga, cioè fra i fedelissimi del presidente, dove gli ideologi dell’isolazionismo sono fermamente contrari.
Dai fronti della guerra, dopo sei giorni, continuano a giungere notizie di attacchi e di morte e devastazione. La tv iraniana afferma che Israele ha attaccato il reattore ad acqua pesante di Arak, che era stato preventivamente evacuato – non vi sarebbero perdite radioattive -. Israele, che sostiene di avere ieri colpito venti obiettivi in territorio iraniano, denuncia “estesi danni” al Soroka Medical Center di Beer Sheba,, dove vi sarebbero feriti. Il computo delle vittime fra i civili, dall’una e dall’altra parte, resta approssimativo: in Iran, dell’ordine delle centinaia; in Israele, dell’ordine delle decine.
Le cronache della Ap da Teheran raccontano l’angoscia della città per i bombardamenti: strade vuote, negozi e uffici chiusi, comunicazioni difficoltose, scarsi adeguati rifugi, stazioni della metropolitana a parte. Ieri, la guida suprema Ali Khamanei ha fatto appello “alla nazione iraniana”, per respingere l’invito di Trump alla resa incondizionata. “Non ci arrenderemo: siamo contro una guerra imposta, così come siamo contro una pace imposta”.
I media Usa, questa mattina, rispecchiano l’incertezza del momento. Il New York Times ricorda “lo spettro dell’Iraq”, l’invasione del 2003 con presupposti simili a quelli attuali: l’Amministrazione Bush paventava che Baghdad si dotasse di armi di distruzione di massa, timore rivelatosi poi infondato. C’era l’illusione che tutto si sarebbe rapidamente risolto: invece, 22 anni dopo, gli Stati Uniti mantengono una presenza militare in quel Paese, che resta fragile e non è davvero stabilizzato; e l’invasione innescò terrorismo e la nascita dell’Isis. Il giornale sottolinea i rischi di un coinvolgimento diretto degli Stati Uniti.
Il Washington Post titola che Trump dà un ultimatum a Teheran, senza avere ancora preso lui stesso una decisione finale. Per il Wall Street Journal, Trump ha già approvato i piani d’attacco, ma non ha dato l’ordine finale. La Cnn dice che Trump è concentrato sul cercare di evitare un allargamento del conflitto, nel caso di entrata in guerra degli Usa.
Il magnate presidente, naturalmente, nega incertezze e divisioni nel suo campo, anche se, parlando con i giornalisti, tra “vorrei” e “non vorrei” pare una parodia di Zerlina nel duetto col Don Giovanni di Mozart: dice che i suoi sostenitori lo amano più che mai, qualsiasi cosa lui decida di fare.
Sul fronte interno, ieri, il magnate presidente ha incassato l’ennesimo smacco dalla Fed, che non ha abbassato il costo del denaro in previsione d’un aumento dell’inflazione e nel timore di un rallentamento della crescita a causa della ‘guerra dei dazi’ e delle incertezze suscitate dalle scelte contraddittorie dell’Amministrazione Trump 2.
Il presidente ha di nuovo criticato il presidente della Federal Reserve Jerome Powell, da lui designato, dandogli dello “stupido” e sostenendo che l’inflazione non è mai stata così’ bassa – cosa falsa, anche se è vero che per ora on c’è stata l’impennata temuta causa dazi -.
