Esteri
Gli USA hanno attaccato l’Iran: ora comincia la guerra?
Di Giampiero Gramaglia
Gli Stati Uniti hanno attaccato, poco prima delle due di notte, tre siti nucleari in Iran, Fordow, Natanz, e Eshahan. Il presidente Usa Donald Trump ne ha dato notizia con un post sul suo social Truth e poi, alle quattro del mattino, le 22.00 di sabato a Washington, lo ha formalmente annunciato alla Nazione.
Trump ha scritto: “Abbiamo condotto un attacco di grande successo su tre siti nucleari in Iran … Un carico di BOMBE completo – tutto maiuscolo nel testo, ndr – è stato sganciato sul sito primario, Fordow… Tutto gli aerei sono sulla via del ritorno”.
Trump ha fatto le sue congratulazioni ai “nostri grandi guerrieri americani” ed ha affermato: “Ora è il momento della pace”. Sulla stessa linea, il premier Israeliano Benjamin Netanyahu, che, parlando subito dopo Trump, ribadisce il concetto di “pace attraverso la forza”. I due leader si rallegrano reciprocamente di quello che considerano il buon esito della loro collaborazione. A Gerusalemme, compaiono enormi manifesti pro Trump: “Grazie, signor Presidente”.
Da parte iraniana, i Guardiani della Rivoluzione, i Pasdaran, dicono: “Ora, comincia la guerra”. Fonti iraniane affermano che tutti gli interessi americani nella Regione sono “obiettivi legittimi”. Dopo le sei del mattino, missili iraniani cadono in Israele su Tel Aviv facendo vittime civili.
Invece, in Iran, non vi sarebbero state vittime civili nell’azione statunitense, perché i siti colpiti erano stati preventivamente evacuati. Controverso, in attesa d’una valutazione indipendente, l’impatto dei bombardamenti statunitensi. Trump dice che gli impianti nucleari sono stati annientati, “obliterati”; il segretario alla Difesa Pete Hegseth li definisce “seriamente danneggiati”, ma precisa che è impossibile prevedere se l’Iran potrà o meno riprendere le proprie attività nucleari; i pasdaran minimizzano. L’Aiea, l’Agenzia dell’Onu per l’energia atomica, prende tempo per rendere pubbliche valutazioni accurate, ma non vede per il momento segnali di aumento dell’attività radioattiva intorno ai siti colpiti.
Il segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres ha espresso preoccupazione: gli attacchi sono – ha detto – “una “pericolosa escalation in una regione già sull’orlo del baratro”. Per Guterres, “in quest’ora critica, è fondamentale evitare una spirale di caos: non esiste una soluzione militare. L’unica via percorribile è la diplomazia. L’unica speranza è la pace”.
Il Papa invita a “fermare la tragedia della guerra prima che essa diventi una voragine irreparabile”: La guerra – dice Leone XIV – non risolve i problemi, anzi li amplifica, e produce ferite profonde nella storia del popolo, che richiedono generazioni per rimarginarsi”. “Che la diplomazia faccia tacere le armi”; è l’appello del Pontefice, che dedica “alle sofferenze della popolazione di Gaza” un’attenzione specifica. Ma il primo Papa americano non ha una parola di critica per Trump.
I leader del cosiddetto Mondo occidentale sono ancora meno coraggiosi del Papa e di Guterres: hanno tutti toni giustificazionisti, come se l’esistenza di una minaccia, tra l’altro da dimostrare, nella sua imminenza, avalli l’aggressione. Eppure, quella statunitense è una palese aggressione, condotta con modi da Maramaldo, colpendo un Paese ormai tramortito e salendo sul carro di Israele già vincitore, a sua volta d’una guerra d’aggressione contro l’Iran.
Tutti premettono, alle loro reazioni, la sura che l’Iran non può dotarsi della bomba atomica, proprio come, nel 2003, tutti quelli che avallavano l’invasione dell’Iraq da parte degli Usa dicevano che Baghdad non poteva dotarsi di armi di distruzione di massa (che non c’erano e che non erano neppure in preparazione); tutti invitano alla de-escalation, che è un modo per provare a esorcizzare risposte dell’Iran sopra le righe.
Cina e Russia condannano l’aggressione unilaterale degli Stati Uniri, ma non mjuovono un dito pro Iran. La Cina è preoccupata di garantire stabilità ai suoi affari e di evitare la chiusura dello Stretto d’Hormuz. La Russia ha le mani libere in Ucraina, fin quando Trump ha le mani in pasta tra Israele e Iran.
L’annuncio di Trump dell’attacco è venuto mentre il Consiglio di Sicurezza nazionale era riunito nella Situation Room della Casa Bianca per seguire l’azione militare statunitense. Solo due giorni fa, Trump aveva sospeso per due settimane ogni sua decisione su un coinvolgimento militare diretto degli Stati Uniti nel conflitto Israele-Iran. L’azione statunitense si collega allo sforzo bellico in atto da una decina di giorni da Israele per eliminare il programma nucleare iraniano e lo completa.
Alle quattro del mattino, Trump ha parlato circondato dalla sua ‘trimurti’, il suo vice JD Vance e i segretari agli Esteri Marco Rubio e alla Difesa Pete Hegseth. Il magnate presidente ha parlato di un successo militare “spettacolare” e di un’operazione come “non si era mai vista da decenni”; ha detto che ora per l’Iran è il momento di fare la pace, “altrimenti ci sarà una tragedia anche peggiore”; ha ricordato che Teheran “ha minacciato per quarant’anni Israele e gli Usa”; ha ringraziato Netanyahu e i militari americani.
Che gli Stati Uniti si stessero preparando a un intervento militare era chiaro da giorni. Ieri, si era avuta notizia della partenza di “diversi” bombardieri B-2 dalla loro base di Whiteman nel Missouri, si pensava per una base più vicina agli obiettivi nucleari iraniani, quella di Guam o di Diego Garcia. Invece, sembra che altri B-2 abbiano volato, con successivi rifornimenti in volo, fin sui loro obiettivi iraniani.
I B-2 sono gli unici bombardieri in grado di portare le bombe da 30 mila libbre ‘bunker-busting’ capaci di penetrare le installazioni nucleari iraniane sotterranee, specialmente quelle di Fordow, essenziali per l’arricchimento dell’uranio. L’operazione sarebbe stata condotta son sei o 12 di tali bombe su Fordow e con una trentina di missili Tomahawk sugli altri due obiettivi.
Israele, che era stato avvertito dell’iniziativa, avrebbe attaccato il sud-ovest dell’Iran per dare copertura all’attacco statunitensi. Prima di fare i rispettivi discorsi, Trump e Netanyahu si sono parlati telefonicamente. Anche il premier israeliani aveva tenuto una riunione d’emergenza prima dell’attacco.
In Iran, il leader supremo Ali Khamenei risulterebbe irreperibile. Secondo jl New York Times Khamenei, rifugiato in un bunker, ha indicato tre religiosi come suoi possibili successori. Né il presidente iraniano Masoud Pezeshkian né il ministro degli Esteri Abbas Aragchi sarebbero riusciti a contattarlo.
Per Teheran, che minimizza l’impatto dell’attacco statunitense, “l’Occidente ha perso la propria bussola morale”, colpendo alle spalle l’Iran con l’attacco israeliano mentre era in atto un negoziato sul nucleare tra Iran e Usa.
Il timore di azioni contro interessi americani nella Regione ha indotto gli Stati Uniti a evacuare propri cittadini dai Paesi della regione e anche personale diplomatico, ad esempio, all’Iraq, e ad alzare il livello di allerta delle rappresentanze diplomatiche e delle installazioni militari – 40 mila gli effettivi presenti nell’area -. Minacce di risposta sono venute dagli Huthi nello Yemen e da milizie integraliste sciite filo-iraniane in tutta la Regione.
Trump aveva informato anche i leader repubblicani della Camera e del Senato, che giudicano “giusta” la scelta fatta. Critiche, invece, dall’opposizione democratica, dove si levano voci d’incostituzionalità della decisione del presidente. Fra gli analisti liberal, c’è chi considera che Washington abbia dato, in questa circostanza, “il peggio di s’é”. Sui suoi Appunti, Stefano Feltri osserva che Trump, seguendo Netanyahu, ha rinunciato alla propria autonomia di valutazione.
