Cultura

Incontro con Berengo Gardin all’anteprima della sua mostra al Maxxi

03
Maggio 2022
Di Gianfranco Ferroni

Diavolo di un Berengo Gardin. Ha sette vite. E ha sempre voglia di lottare. Il maestro del bianco e nero, della fotografia di reportage e di indagine sociale, vanta quasi settant’anni di carriera. Al Maxxi, dove ha presentato la sua mostra, intitolata “Gianni Berengo Gardin. L’occhio come mestiere”, il fotografo nato nel 1930 a Santa Margherita Ligure è stato protagonista di una mattinata di ricordi e di speranze. L’istituzione museale lo celebra, Contrasto pubblica un altro splendido volume in suo onore, e lui è consapevole del suo genio, anche se vuole minimizzare ogni tentativo di esaltazione: davanti, sul tavolo, ha voluto la sua macchina fotografica. L’amore per la Leica è
infinito. Margherita Guccione, Alessandra Mauro e Giovanna Melandri se lo tengono stretto: Roma è nel cuore di Berengo Gardin, ma Venezia non può essere dimenticata. Arte o artigianato, quella del fotografo? Lui non ha dubbi, “è un mestiere artigianale”. Ma non c’è solo la capitale nell’agenda di Berengo Gardin: «Si va ad Alatri», dice ricordando l’appuntamento del 4 maggio, subito dopo la mostra al Maxxi, per ricevere un ambito riconoscimento, ovvero le chiavi della città. Una storia da raccontare: l’amministrazione comunale guidata dal sindaco Maurizio Cianfrocca conferirà al “Maestro Fotografo Gianni Berengo Gardin” la cittadinanza onoraria su proposta dell’Associazione Culturale “Carpe Imaginem”. Lui torna nella città di Alatri dopo 22 anni; nel 2000 alla vista dell’imponente Acropoli e delle mura ciclopiche disse: «Ecco la città dalle grandi mura tanto cara a Cesare Zavattini». Lo scrittore (e non solo) di Luzzara, aveva studiato nel Regio Ginnasio Liceo “Conti Gentili” dove conseguì la maturità classica nel 1921. A Berengo Gardin verrà conferita la città onoraria proprio nel palazzo Conti Gentili dove Zavattini aveva frequentato il liceo. Senza dimenticare che il fotografo passò una settimana santa ad Alatri, in occasione del Giubileo del 2000, immortalando tutti gli avvenimenti sacri e laici, per poi realizzare una mostra nella città laziale.

Gianni Berengo Gardin

Nella mostra al Maxxi le immagini sono duecento: Berengo Gardin rileva che «l’impegno stesso del fotografo non dovrebbe essere artistico, ma sociale e civile». Ci sono le tracce di mondi invisibili al grande pubblico, ieri e oggi: come le case di cura per quei “matti” di una volta che venivano chiusi a chiave per tutta la vita. Un occhio di
riguardo per le loro condizioni Berengo Gardin lo ha sempre avuto, e lui stesso ricorda quella “guerra” condotta con l’arma dell’obiettivo per restituire la dignità a persone che spesso non conoscevano nemmeno l’esistenza di un mondo, fuori da quelle mura che apparentemente li custodivano, ma che in realtà di carceravano: «Si era nel Sessantotto. Franco Basaglia si batteva per la chiusura dei manicomi e insieme a Carla Cerati, fotografa milanese, avevamo realizzato delle fotografie per L’Espresso sui manicomi. Vedendole, Basaglia rimase allibito. Si trattava di fotografie mai viste prima in Italia. Così, abbiamo deciso di farne un libro, Morire di classe, che, con l’aggiunta di testi di Basaglia, ha fatto conoscere all’Italia le condizioni tragiche di questi malati». Queste immagini ci sono, al Maxxi, e parlano al cuore. Forse anche più di quelle dedicate a un’Italia ricca di monumenti e di vestigia del passato.

Dal 4 maggio al 18 settembre al Maxxi
Via Guido Reni, 4a
https://www.maxxi.art/