Politica

Autonomia, una storia lunga, un’idea che non è solo della Lega

24
Gennaio 2024
Di Giampiero Cinelli

Il Senato ha approvato il Ddl sull’Autonomia differenziata di Roberto Calderoli. Ora il testo passa alla Camera. A balzare all’occhio, nonostante le continue voci, è la compattezza della maggioranza, che arriva al primo importante sì in tempi relativamente brevi e più o meno non fa toccare palla all’opposizione, neutralizzando centinaia di emendamenti ma intestandosi quello più caro ai detrattori, riguardante i Lep (Livelli essenziali di prestazioni). L’asse portante è tra Fratelli D’Italia e Lega, con il partito della premier che collabora alla riforma da sempre agognata dal Carroccio, il quale a sua volta assicura sostegno sull’altra importante riforma del Premierato, caldeggiata da Meloni. Il senatore leghista Massimiliano Romeo in Aula scansa ogni perplessità, dicendo che tutto è coerente: «Più poteri al premier significa dall’altra parte controbilanciare con più autonomia sul territorio».

Pd e M5s non ci stanno

Il Pd tuona. Elly Schlein è senza mezzi termini: «Giorgia Meloni vuole passare alla storia per essere la presidente del Consiglio che ha spaccato l’Italia». Giuseppe Conte esprime forti dubbi sull’agibilità della riforma: «Non ci sarà nemmeno un centesimo per finanziare i servizi essenziali nei territori più fragili, visto che il progetto è vincolato all’austerità di bilancio» (Il leader del M5s fa riferimento al Patto di Stabilità europeo).

Cosa succede ora

Il percorso dell’autonomia è ancora lungo, perché dopo il via libera delle Camere inizierà la fase di concertazione tra Stato e Regioni che richiederanno il trasferimento delle materie, in tutto 23, con le Camere che tornerebbero in azione in fase di valutazione delle intese raggiunte. Dovrà esserci poi anche il lavoro dei tecnici per la predisposizione delle risorse finanziarie, l’emanazione dei Dpcm a garanzia delle prestazioni essenziali e l’ulteriore contributo amministrativo di una Cabina di regia istituita ad hoc.

La lunga storia dell’Autonomia

Ma ad oggi, forse più interessante è ripercorrere sinteticamente la storia della battaglia per l’autonomia territoriale in Italia, che affonda le sue radici più o meno tre decenni fa. Premesso che l’autonomia dei territori è ammessa già in Costituzione, una forma di Stato realmente federale non è stata mai creata in Italia, anche perché ci sono sempre stati dubbi sugli effetti che un cambio di assetto avrebbe generato in ambito di diritti fondamentali. Nonostante questo il deciso favore verso indirizzi autonomisti è riscontrabile nella vita politica sia a destra che a sinistra. Le prime riforme in tal senso portano infatti la firma di governi di centrosinistra, in origine con la legge Bassanini del 1997.

Il 2001 e il Titolo V

Si arriva quindi alla riforma più celebre, quella costituzionale del Titolo V, sempre proposta dal centrosinistra, che passa anche nel Referendum confermativo. Modificati gli articoli 116 e 117, concernenti il rapporto tra Stato e regioni. Il risultato è un rafforzamento del decentramento amministrativo, che delinea quella che viene definita oggi “legislazione concorrente” (ad esempio sulla sanità e sull’energia), oltre all’introduzione dell'”autonomia fiscale”. Gli enti locali possono stabilire ulteriori entrate proprie, purché vi sia il rispetto dei principi costituzionali e delle leggi ordinarie. Un primo passo è compiuto ma, con il secondo governo Berlusconi, sostenuto dalla Lega, si vuole andare più lontano. Il Carroccio appronta una nuova riforma che accentua il concetto di autonomia in termini economici, si inizia a parlare di vero e proprio federalismo fiscale, attraverso cui i territori pianificano liberamente entrate e spese mediante varie modalità, non solo la tassazione. La riforma ha l’ok delle Camere ma viene bocciata dal referendum popolare.

Caduto Berlusconi nel 2006, alcuni governatori di regione, come Roberto Formigoni per la Lombardia, cercheranno di continuare la strada tracciata conseguendo accordi diretti con l’allora premier Romano Prodi, il quale si dimostra molto accomodante ma, siccome anch’egli dovrà dimettersi, le trattative non vanno avanti.

2009-2011, un nuovo impulso

Nel 2008 Silvio Berlusconi torna al potere stravincendo le elezioni. Di nuovo l’occasione per la Lega di dare vita al federalismo fiscale. Le critiche anche in questo caso sono dure, siccome a parere di alcuni addetti ai lavori, in questo caso si altererebbero i flussi finanziari tra Stato e regioni. i lavori preparatori nelle commissioni sono infatti estenuanti e farraginosi, tanto che non si arriverà mai ad attuare la nuova riforma nelle regioni, anche a causa della crisi che porterà il Cavaliere a lasciare il governo nel 2011. Tuttavia, grazie alla legge delega del 2009, si riuscirà a realizzare l’autonomia finanziaria per i Comuni e le Province. Perde dunque centralità negli enti locali il sistema della finanza derivata e viene assegnato alle amministrazioni municipali un proprio patrimonio.

Il dibattito di questi giorni

Ed eccoci ai giorni nostri. La Lega sembra più vicina al suo traguardo. E paradossalmente si dice che stavolta il testo che verrà fuori sia molto più vicino alle istanze dei critici e delle opposizioni di quanto si pensi. Sono previsti infatti i Lep e il fondo perequativo. Però una parte del Paese ha poca fiducia che l’impianto funzioni. Perché i Lep devono tenere conto dei criteri di bilancio e il fondo perequativo parte leggero, senza criteri dettagliati su come gestirlo. Altro punto tecnico su cui si discute è il parametro della cosiddetta “spesa storica”, ovvero il metodo per cui i fondi assegnati alle regioni più povere, tengono conto dell’andamento della spesa media degli ultimi anni, invece di rimpolpare i contributi. Che l’Autonomia differenziata rispetterà i valori costituzionali e le esigenze sociali lo ha detto Giorgia Meloni mettendoci la faccia. Per tirare le somme ci vorrà ancora parecchio.