Cronache USA

Trump: su Epstein frena, sul Venezuela accelera

17
Novembre 2025
Di Giampiero Gramaglia

È un esercizio difficilissimo. Nelle competizioni di tuffi si chiama doppio salto mortale rovesciato e carpiato, coefficiente di difficoltà 2,8, uno dei più alti. Ma Donald Trump lo sa eseguire alla grande, con enorme disinvoltura. S’è esibito nella sua specialità anche sul ‘caso Epstein’: un dietro front totale e spregiudicato, maturato tra una buca e l’altra sui campi di golf del week-end a Mar-a Lago, in Florida.

Sulla via del ritorno a Washington, Trump ha detto che i deputati repubblicani dovrebbero votare per la pubblicazione completa dei documenti riguardanti il finanziere pedofilo suicida in carcere, nel 2019, a New York. Due giorni prima, aveva sostenuto l’esatto opposto.

La Camera deve pronunciarsi domani su una mozione bipartisan che, se approvata anche dal Senato e firmata dal presidente, imporrebbe al Dipartimento della Giustizia di pubblicare i documenti. Non sono chiare le ragioni del dietro front: il magnate presidente dice che è perché lui e i repubblicani non hanno nulla da temere dal dossier, mentre sono i democratici a doverne avere paura; ma c’è chi pensa che Trump si sia reso conto che non sarebbe riuscito a convincere tutti i deputati repubblicani che, come la sua ex alleata Marjorie Taylor-Greene, vogliono la diffusione dei files, a votare contro.

Sul caso Epstein, una parte dei repubblicani accetta di unire le forze con i democratici, anche se nessuno sa bene chi potrebbe uscire danneggiato dai documenti. Le decine di migliaia di mail di Epstein già rese note rivelano una fitta rete di contatti del finanziere pedofilo, ma potrebbero anche essere in parte tentativi di millantare credito, cioè di mostrare di sapere e/o di potere più di quanto Epstein in realtà sapesse o potesse.

Trump 2: Venezuela, le opzioni nei Caraibi e i rischi

Nessuna marcia indietro, invece, sul Venezuela, anche perché Trump, sull’AirForceOne, s’è limitato a dire di avere preso una decisione sul da farsi, senza dire quale, e ha quindi lasciato la porta aperta a tutte le opzioni; anzi, non ha neppure escluso per la prima volta contatti diretti con il presidente venezuelano Nicolas Maduro.

La mobilitazione militare nei Caraibi potrebbe dunque sfociare in un’azione diretta, che però non sarebbe certo gradita alla base Maga, o limitarsi a costituire una forma di intimidazione, perché Maduro – spaventato – si faccia da parte. Per il momento, il presidente ‘chavista’ chiama il popolo alla mobilitazione contro il rischio di un’aggressione, sulle note pacifiste di Image di John Lennon, mentre la leader dell’opposizione e Nobel per la Pace Maria Machado lancia un appello ai militari e alla popolazione per la disobbedienza civile.

Per il momento, la cosa certa è che le uccisioni arbitrarie e illegali dal punto di vista del diritto Usa e internazionale di presunti narcotrafficanti nel Mar dei Caraibi vanno avanti: le vittime superano ormai le 80. Trump sostiene di non avere bisogno dell’avallo del Congresso per gli attacchi letali ed equipara Maduro al capo di un ‘cartello’.

Nei Caraibi, le forze militari statunitensi schierate paiono pronte a ricevere l’ordine di attacco, dopo giorni di consultazioni. Fra le ragioni addotte per un intervento militare, o almeno per gli attacchi alle imbarcazioni di presunti narcotrafficanti, c’è anche l’ipotesi che esse trasportino armi chimiche o componenti utili alla loro produzione.

L’asserita minaccia delle armi chimiche, rivelatasi poi del tutto infondata, ebbe un peso decisivo nell’invasione Usa dell’Iraq nel 2003, che condusse al rovesciamento del presidente iracheno Saddam Hussein e creò una situazione di instabilità nel Paese e nella Regione non ancora del tutto superata.