Cronache USA
L’America dei Maga sulla soglia di un’era di censura
Di Giampiero Gramaglia
I timori per la libertà di parola e il rischio di un’ondata di censura negli Stati Uniti, già paragonata alla frenesia maccartista dei primi Anni Cinquanta, caratterizzano l’informazione statunitense, questa mattina. Su tutte le home pages, ci sono commenti e retroscena sulla repentina sospensione dello show sulla Abc di Jimmy Kimmel, dopo che una frase del comico sulla manipolazione politica dell’uccisione di Charlie Kirk da parte del mondo Maga non era piaciuta al magnate presidente Donald Trump.
Una battuta di Trump, ieri, al termine della visita di Stato in Gran Bretagna, alza il livello d’allarme: “I proprietari dei network temano di perdere la loro licenza, se i loro conduttori mi criticano”. Quasi tutti collegano la sospensione del programma di Kimmel con la cancellazione, a luglio, di un altro show comico serale, quello di Stephen Colbert sulla Cbs.
In entrambi i casi, le case madri della televisioni coinvolte sono impegnate in transazioni finanziarie che necessitano l’approvazione delle autorità federali e, di fronte al bivio se battersi per la libertà d’espressione o tutelare il proprio profitto, hanno sacrificato la libertà e protetto il profitto.
Mantenendo la linea dell’intolleranza, Trump ha dichiarato “organizzazione terrorista domestica” Antifa, un movimento di sinistra che riunisce gruppi che si oppongono al fascismo, al razzismo e alle ideologie di estrema destra.
Il titolo più esplicito è quello del Washington Post: “La sospensione del programma di Kimmel solleva la paura di un’era di censura. I critici accusano l’Abc di essersi piegata al Trump…”. All’opposto, Fox News dà un quadro di come si parla della morte di Kirk nell’America di Trump e dei Maga: la tv all news conservatrice titola in apertura “Gli ultimi istanti di Charlie Kirk raccontati dal suo mentore Frank Turek, che era con lui sull’autoambulanza che lo portava in ospedale ‘Era già con Gesù Cristo… Guardava oltre me dritto verso l’eternità…’”.
Alla cerimonia funebre per l’attivista ucciso, domenica, in Arizona, ci saranno il presidente Trump e il suo vice J.D. Vance.
Trump 2: la visita in Gran Bretagna, pompa e affari, sordina su dissensi
La visita di Stato in Gran Bretagna di Donald Trump, conclusasi ieri, attira l’attenzione più per gli aspetti esteriori che per quelli sostanziali. Il New York Times vi vede un festival “di adulazioni e complimenti” per il magnate presidente, “in cambio del sollievo di evitare scenate”. Il giornale presta un’attenzione straordinaria ai vestiti e ai cappelli sfoggiati dalla first lady Melania, il cui look non viene confrontato con quello della regina Camilla, ma con quello della più giovane e più glamour Kate, la principessa del Galles moglie dell’erede al trono William.
Trump “è stato gratificato da re Carlo III con tutto lo sfarzo che a lui piace, ha firmato accordi tecnologici ed economici e non ha accentuato i contrasti con il premier britannico Keir Starmer”, che pure sono evidenti sull’Ucraina e sul Medio Oriente. La Gran Bretagna, ad esempio, s’appresta a riconoscere, la prossima settimana, lo Stato della Palestina, mentre Trump avalla l’occupazione e la riduzione in macerie della Striscia di Gaza da parte dell’esercito israeliano.
La Cnn si chiede che cosa la Gran Bretagna “abbia ottenuto in cambio della sontuosa visita”, in cui “ha sciorinato tutta la pompa di cui è capace”: “Il maggior risultato appaiono 150 milioni di sterline in investimenti statunitensi, che, però, non convincono tutti”.





