Esteri

«Non sappiamo se Zelensky rimarrà in sella a vita». Intervista con Gabriele Natalizia

24
Febbraio 2023
Di Flavia Iannilli

A un anno dall’invasione Russa dell’Ucraina, il mondo si interroga ancora sulle possibili sorti del conflitto tra timide aperture e rischi di escalation. All’alba del 24 febbraio pochi avrebbero scommesso sulla tenuta di Kiev, ma la resistenza ucraina, sostenuta dall’Occidente con sanzioni e forniture di armamenti, ha scongiurato una rapida caduta. In Ucraina ancora si combatte, tra ripiegamenti e nuove offensive da ambo le parti, e non solo sul fronte esterno. Durante questo anno di guerra Putin cambia i propri obiettivi, destituisce generali e minaccia più volte l’utilizzo dell’arsenale nucleare, sino alle recentissime dichiarazioni sulla sospensione del trattato Start. Nello stesso anno Zelensky affronta la tempesta della corruzione interna mentre l’opinione pubblica si chiede se riuscirà a mantenere compatto il governo in sella ad una nazione in guerra. Un anno dopo il ritorno della guerra in Europa abbiamo incontrato il Prof. Gabriele Natalizia, direttore di Geopolitica.info per capire quanto accaduto, quanto durerà il conflitto e le ripercussioni che avrà ancora sugli assetti geopolitici globali. 

Nel 2007, alla Conferenza di Monaco, la Russia aveva già lamentato lo spostamento degli armamenti al confine da parte della Nato. Sono passati 15 anni, perché aspettare così tanto o cosa aspettava Putin?
«I russi lamentano l’allargamento della Nato fino dall’inizio degli anni ‘90. Già con la presidenza Eltsin, con maggior vigore con la presidenza Putin, era molto presente la retorica della “Broken promise”. Questa narrazione politica russa, nata nel ciclo di colloqui del 1990 relativi alla riunificazione della Germania, si sosteneva sulla promessa fatta dagli americani a Gorbaciov in merito ad un allargamento della Nato verso est. Parole pronunciate da James Baker, segretario di stato americano, che non aveva nessuna qualifica per trattare a nome della Nato, tanto che nel trattato siglato a Mosca non ne viene menzionata neanche la presenza. Inoltre gli allargamenti all’interno della Nato necessitano dell’unanimità e gli Stati Uniti non possedevano alcuna delega in bianco per prendersi una tale rappresentanza. Dalla questione nasce il concetto fondativo di ciò che vediamo oggi. A partire da questi anni la Russia, seppur a fasi alterne, riceveva dei vantaggi nella ricerca dell’integrazione nell’ordine internazionale liberale o a guida americana. Dal 2007 in poi ha iniziato a esprimere la propria insoddisfazione verso lo status quo scaturito dalla guerra fredda. Alla base di questa richiesta di modifica c’è l’intervento alla Conferenza sulla sicurezza di Monaco del presidente russo Vladimir Putin. La Russia comincia ad assumere quella che gli studiosi delle relazioni internazionali definiscono una postura revisionista. Inizialmente questa posizione si traduce in politiche che adottano modalità moderate. Il 24 febbraio del 2022 diventa un momento di svolta, perché la Federazione russa passa a una contestazione dello status quo di tipo rivoluzionario. La modalità scelta è quella della violenza rispetto a uno dei principi, dal punto di vista normativo, dell’ordine del post guerra fredda». 

Con quale stato di salute politico, sociale ed economico la Russia si è affacciata a questo conflitto? E con quale stato lo vive ora?
«Chi è che contesta l’ordine internazionale di solito? Potenze che sono cresciute ma parallelamente allo sviluppo progredisce anche l’insoddisfazione. Il caso della Russia è eccezionale, perché conduce una fase di crescita dal 2003 al 2014, il periodo del grande rally dei prezzi energetici dovuto all’invasione dell’Iraq da parte americana e alleata. In quel momento la Federazione russa è un paese che dipende, per buona parte del suo Pil, dai prezzi energetici e ne trae beneficio anche grazie alla minore capacità di rifornimento di petrolio da parte di alcuni paesi. Dal 2014 i prezzi energetici crollano e la Russia comincia ad accusare i primi problemi, ma proprio in quel decennio aveva iniziato un’opera di riammodernamento delle forze armate. Si tratta sempre di una potenza considerata tale non tanto a livello economico quanto a livello militare. In molti hanno posto l’attenzione sul ridotto arco temporale che la Russia avrebbe avuto a disposizione per far pesare questo tipo di capacità nei confronti di Stati Uniti e Cina. Una volta scaduta questa finestra di tempo le armi sarebbero diventate vetuste e non avrebbero avuto la capacità di rinnovarle a causa sia dell’avanzamento tecnologico sia della crisi dei prezzi energetici. La Russia che si affaccia al conflitto è un paese con la capacità militare in declino e con degli indicatori economici e sociali non proprio confortanti. Si evince questo peso di essere percepita come uno sfidante dell’ordine internazionale, ma che deve estendere il suo potere ora perché in futuro non è più sicura di poterlo sostenere. Complice il grande inverno demografico ma anche la dipendenza per più del 50% del Pil da un solo settore, un fattore che li destina all’instabilità e ad una possibile crisi dell’intero sistema paese». 

Guardando indietro l’Occidente, a livello diplomatico, avrebbe potuto fare qualcosa per evitare l’invasione russa?
«Sicuramente degli errori ci possono essere stati. Cosa rivendica la Russia? Che la Nato fosse pronta a nuove adesioni. Una fake news, all’ordine del giorno non vi era nessun allargamento della Nato all’Ucraina. Basti sapere che il procedimento ha degli step lunghi; il primo tra questi è l’attivazione del Membership Action Plan che porta all’adesione dopo qualche anno. Nonostante questa consapevolezza non è mai stato effettuato neanche il primo passo. Storicamente l’ultima finestra di opportunità di possibili nuovi membri fu nel summit di Bucarest del 2008: quando l’amministrazione Bush aveva chiesto un impegno da parte della Nato a invitare Ucraina e Georgia a fare richiesta. In quell’occasione Germania, Francia e anche Italia si opposero e riuscirono ad ottenere una dichiarazione molto più edulcorata in cui la Nato restava aperta ad eventuali richieste. Da quel momento in poi il discorso adesioni non è più stato all’ordine del giorno. Bisogna ammettere che la Nato ha subito la narrazione della Russia, probabilmente l’errore è stato quello di attivare l’Enhanced Opportunity Partner all’Ucraina, uno degli strumenti che la Russia ha utilizzato a favore della propria retorica. Altro fattore che ha avvalorato la narrazione russa è la partecipazione dell’Ucraina a degli addestramenti, ma, anche qui, le operazioni di addestramento Nato sono di difesa e non di attacco. Il motivo era semplice: si prevedeva, come poi è accaduto, un’aggressione da parte della Russia. La Nato, cosa che sta facendo adesso probabilmente stimolata dalla guerra, ha peccato in termini di comunicazione. C’è una parte dell’opinione pubblica, tanto italiana quanto propria di molti paesi europei, che pensa proprio questo: la Nato annette gli altri paesi, l’allargamento dell’Ucraina è all’ordine del giorno basti pensare alle operazioni di addestramento».  

Guardando il Qui ed Ora, sanzioni contro la Russia e fornitura di armamenti all’Ucraina hanno avuto effetto? 
«Hanno avuto l’effetto di far durare la guerra un anno e di permettere la resistenza dell’Ucraina. Una resistenza che non sarebbe mai stata possibile senza un aiuto in particolare, mi riferisco a quello degli Stati Uniti e del Regno Unito. Sono i due paesi a cui il Presidente Zelensky rivolge sempre i ringraziamenti. Gli altri paesi hanno dato il proprio contributo, sicuramente minore, e inizialmente anche un sostegno ambiguo; a differenza degli inglesi che sono stati i primi ad appoggiare la resistenza di Zelensky, più degli americani stessi. Bisogna ammettere che la resistenza ucraina ha sorpreso tutti».

Calcolo strategico o sovranità della democrazia: nel sostenere l’Ucraina cosa ha pesato di più nella scelta dei paesi Nato?
«Il calcolo strategico. Ma nella storia di tutti i paesi, non di questa guerra. Il tema del confronto ideologico può dare un colore alle guerre, serve a renderle più spiegabili alle opinioni pubbliche. Ma sono i calcoli strategici a muovere gli stati. La ragione per cui l’Ucraina combatte è la sicurezza, la stessa sicurezza per cui combatte anche la Russia. Ma si tratta di due prospettive di sicurezza non conciliabili. Per la Federazione russa ogni allargamento della Nato a est è un attentato alla propria salvaguardia, nonostante la Nato ribadisca che non ci siano intenzioni bellicose. Ma allo stesso modo, per l’Ucraina, l’assenza della protezione dell’ombrello Nato è mettere in una condizione di estrema insicurezza il paese stesso, perché si tratta di uno stato che ha un confine molto ampio con la Russia che non ha perso l’occasione di dimostrare la propria sfaccettatura aggressiva». 

Bombardamenti, armamenti, confini inesistenti e politica interna sfaldata; che Ucraina ci consegna questa guerra?
«Chiaramente non possiamo sapere come sarà l’Ucraina nel futuro, se sarà più o meno democratica. Non sappiamo se sarà un Ucraina governata ancora a lungo da Zelensky o da qualcun altro. Ricordiamoci che il Regno Unito, dopo aver vinto la seconda guerra mondiale, vide la sconfitta alle elezioni di Churchill. Non è detto che un risultato positivo della guerra debba necessariamente portare forza a chi ha guidato il paese. Sicuramente sarà uno stato da ricostruire e non potrà farlo da solo, sia per la distruzione dilagante sia per i danni economici precedenti che non andavano a favore dell’Ucraina. Parliamo di uno dei paesi più poveri in relazione al Pil pro capite in Europa. È uno stato da ricostruire e la corsa alla ricostruzione già sta partendo. Molti paesi europei, anche quelli che prima rimanevano più freddi, adesso iniziano ad assumere una posizione più allineata con quella ucraina. Basti pensare alla Germania, mentre l’Italia è sempre stata più calda: sul fronte democratico non ha mai fatto mistero del suo allineamento, infatti l’unico paese citato il 21 febbraio 2023 nel discorso di Putin con una velata minaccia è stata proprio l’Italia. Non la Francia, non la Germania. La Meloni ha compreso che la partita, una volta finita la guerra, sarà quella della ricostruzione; conseguentemente ha dichiarato che l’Italia giocherà il suo ruolo». 

La Meloni è stata tagliata fuori dall’asse franco-tedesco, la vicinanza con gli Stati Uniti può garantire uno spazio di manovra o quale spazio di manovra ha l’Italia?
«L’Italia cerca di bilanciare l’asse franco-tedesco, che poi è sempre abbastanza labile: prende forma per qualche tempo poi si raffredda. Come l’Italia può bilanciare questo asse? Con grande allineamento con gli Stati Uniti, è arrivata finalmente la telefonata di Biden in cui il presidente americano invita la Meloni negli Usa. L’uscita del Regno Unito dall’Unione europea rappresenta un vulnus per l’Italia, poiché ha perso uno dei perni del contenimento dell’asse franco-tedesco all’interno dell’Unione europea. È probabile che una sinergia con la Polonia o con alcuni paesi dell’Europa meridionale possa contribuire, seppur non sufficientemente, a equilibrare uno sbilanciamento verso Parigi e Berlino».

Come esce la figura di Zelensky da questo conflitto sia sul fronte interno sia sul fronte esterno? 
«Non conosco l’umore interno all’Ucraina. In generale durante la guerra è facile che perda forma, il cosiddetto aspetto “Rally ‘round the flag’” ossia il momento in cui c’è un nemico esterno che minaccia la sopravvivenza del proprio paese e, di conseguenza, ci si stringe intorno alla bandiera, chiunque la detenga. Così come il Regno Unito si strinse intorno a Churchill nella seconda guerra mondiale, sia laburisti sia conservatori, ma appena finita la guerra si tornò alle vecchie posizioni e vinsero i laburisti. Ciò non significa che Zelensky sarà in sella a vita. Peraltro la figura del presidente ucraino viene messa a rischio da un lato dall’andamento sul campo di battaglia, quindi più l’Ucraina dimostra di saper resistere e porta a casa qualche risultato infliggendo perdite ai russi e più diventa una figura che attrae consenso; dall’altro lato rimane il tema dello scandalo corruzione che affligge l’Ucraina. Un fattore che naturalmente non fa comodo a Zelensky, il quale è pienamente consapevole che non giochi a suo favore sia dal punto di vista interno sia dalla prospettiva internazionale. Per questo ha iniziato il suo repulisti mettendo in discussione la permanenza del ministro della difesa all’interno del suo gabinetto. In questo modo dimostra che nessuno è intoccabile anche coloro che sono stati gli artefici della resistenza contro le forze sovietiche». 

Putin e Biden, due discorsi a confronto.
«Io riprenderei quello che ha detto Putin. Ha presentato l’Ucraina come il principale teatro di un più alto confronto con l’occidente. Un confronto che sarebbe stato dettato dalla volontà cosiddetta espansionistica della Nato e dal sostegno, sempre parole di Putin, che gli Stati Uniti loro alleati forniscono al regime neonazista di Kiev. È solo una partita, non si tratta di una guerra che si innesca per motivi locali, come fu quello della prima guerra mondiale dell’attentato di Sarajevo, ma poi in ballo entrano potenze che si stanno giocando la permanenza in vita nello scacchiere internazionale scaturito nella guerra fredda. Siamo in un momento di crisi dell’ordine internazionale e a meno che non scoppi una guerra atomica, cosa che nessuno si augura, questo confronto andrà avanti a lungo, un confronto triangolare tra Stati Uniti, Russia e Cina. Non è detto che necessariamente l’allineamento futuro della Russia continuerà ad essere quello attuale con la Cina. Anche questi due paesi hanno molte questioni che li dividono, come fu in guerra Fredda: l’Unione sovietica e la Repubblica popolare cinese, negli anni ‘50, cooperarono per un periodo, ma negli anni ‘70 i loro obiettivi diventarono divergenti tanto da vedere la Cina partner degli Usa dalla seconda metà degli anni ‘70 in poi. Non è scontato che gli allineamenti siano sempre gli stessi, andiamo verso un confronto che durerà a lungo e che non riguarda solo l’Ucraina. L’Ucraina è solo una delle partite di un campionato che ha come posta in gioco l’ordine internazionale».