È estate, fa caldo, e – puntuale – arriva il dibattito sullo ius scholae, con annesso tentativo di trappolone politico da parte del Pd e dei giornali d’area dem (cioè quasi tutti).
La sinistra ha un sogno: quello di una divisione verticale nella maggioranza, che da queste parti ci auguriamo vivamente non si realizzi.
Intendiamoci bene: in termini astratti, e se ci trovassimo in una condizione generale di immigrazione messa stabilmente sotto controllo, si potrebbe anche ragionare pragmaticamente su segnali di apertura. Non è mica materia di fede: si può laicamente consentire o dissentire, si può essere fautori di una linea più rigida o più morbida sulla cittadinanza.
Ma non è questa la nostra situazione, purtroppo: l’Italia, a causa di un decennio di governi a guida semitecnica o di sinistra, esce da una lunga stagione di immigrazione fuori controllo. E i cittadini – giustamente – oggi chiedono rigore. Questa è la linea su cui il centrodestra è stato votato.
Tra l’altro, non esiste alcuna esigenza impellente – diversamente da quanto la sinistra racconta – per imporre forzature. Da queste parti abbiamo già ricordato molte volte nei mesi scorsi che, con le norme attuali, l’Italia è il paese-record nella concessione delle cittadinanze: dunque, è veramente bizzarro parlare di “emergenza”.
E anche gli osservatori che sembrano sedotti dal tema dello ius scholae, quando poi si passa a leggere le proposte che sono effettivamente in campo, devono constatare che la richiesta proveniente dalla sinistra è che la cittadinanza scatti dopo 10 anni di scuola svolti in Italia.
Facciamo un rapido conto: oggi, con le norme attuali, uno dei cinque modi per diventare cittadini italiani (oltre a essere figli di un italiano, adottati da un italiano, sposi di un italiano, o stranieri regolari residenti dopo un certo numero di anni di residenza) consiste – è il caso dei bimbi e poi dei ragazzi – nell’ottenimento della cittadinanza a 18 anni se si sia nati in Italia da genitori non italiani.
Ecco: con la proposta che piace ai fautori dello ius scholae (10 anni di scuola), la cittadinanza potrebbe scattare – invece che a 18 anni – a 16 anni, o 16 e mezzo, o 17, o 17 e mezzo, a seconda del momento di iscrizione in prima elementare da cui far decorrere i 10 anni.
Bene: qualcuno pensa davvero che si possa lacerare il paese (o magari, come sognano a sinistra, aprire una breccia nella maggioranza) per assegnare una cittadinanza appena 6 o 12 o 18 mesi prima a qualcuno? Sarebbe qualcosa di inimmaginabile, un’autentica stravaganza politica. Morale: meglio lasciare la sinistra ai suoi sogni. E le leggi sulla cittadinanza così come sono adesso.





