Politica

Ministro Guerini in audizione: “In Afghanistan supporteremo le istituzioni repubblicane locali”

27
Giugno 2021
Di Flavia Iannilli

L’impegno italiano in Afghanistan non si è limitato al settore militare, ma si è focalizzato anche sulla costruzione del tessuto democratico e istituzionale del Paese, senza dimenticare il rispetto dei diritti civili che il regime talebano aveva represso con la violenza.

La chiusura della missione in Afghanistan non è affatto un abbandono. Lo ha precisato il Ministro della Difesa Lorenzo Guerini durante la seduta in Senato che dichiara: “Siamo in una fase nuova, tutti gli alleati stanno dando segnali convergenti sull’impegno in Afghanistan. Il nostro ruolo rimarrà attivo capitalizzando i frutti dell’impegno di questi 20 anni”.

L’istruzione e il miglioramento della condizione delle donne hanno acquisito ruoli importanti nella comunità locale. Un esempio di questo cambiamento è rappresentato da Maria Bachir, procuratore generale della provincia di Herat, costretta a lasciare il lavoro durante il governo afghano. Oggi può svolgere il suo ruolo senza alcun rischio.

Negli ultimi 5 anni i contingenti nazionali si sono adoperati in attività di addestramento, consulenza e assistenza a favore della popolazione afghana, comprendendo i settori della logistica e della pianificazione finanziaria.

Guerini dichiara: “A oggi sono stati rimpatriati 280 nostri militari e sono già defluiti dal teatro operativo afgano più del 70% dei mezzi e dei materiali verso l’Italia”. La Difesa, oltre ad essere impegnata nel rientro del contingente nazionale, si fa carico “anche di un’attività di trasporto umanitario del personale civile afgano che ha collaborato con le Forze italiane, denominata Operazione Aquila” aggiunge il Ministro. L’attenzione rimane alta e tutte le articolazioni del dicastero hanno gli occhi puntati sul rientro in sicurezza del personale, soprattutto per il contesto complesso e tutt’altro privo di rischi.

L’obiettivo, pur lasciando la zona, rimane quello di continuare a supportare le istituzioni repubblicane per il popolo afghano. Alla conclusione della missione non ne consegue un abbassamento della preoccupazione sulla situazione afghana, sia per l’Italia che per gli Alleati, un punto che Guerini intende rendere chiaro: “Il livello della violenza è aumentato e gli attacchi delle componenti militari ed oltranziste del Movimento Talebano hanno come loro obiettivi non solo le forze di sicurezza afghane ed il controllo di alcune province, ma anche esponenti della società civile. Non meno rilevante è la minaccia posta dal terrorismo jihadista e dalle sue diramazioni nel paese. Su tutte, Isis Khorasan, che continuano ad avere una forte capacità di richiamo sulle province più povere”.

La missione in Afghanistan si evolve nell’individuazione di nuove forme di supporto con una postilla essenziale: l’impegno della Comunità Internazionale ed il suo focus sull’Afghanistan non devono mai venir meno e si devono concentrare sulla necessità di riprendere i negoziati di pace intra-afgani. Guerini specifica: “La soluzione negoziata del conflitto assieme alla continuazione del supporto alle forze di sicurezza, è l’unica via per un Paese realmente pacificato, che possa contare sulla stabilità delle sue istituzioni”.

Il nuovo concetto di supporto da parte della Nato prevede tre componenti: la costituzione dell’Ufficio del Rappresentante Civile Nato, incarico ricoperto oggi dall’Ambasciatore Pontecorvo; il sostegno alla funzionalità dell’ospedale e dell’aeroporto di Kabul, la cui sicurezza è essenziale per mantenere una presenza diplomatica; la formazione, intesa come addestramento e sviluppo capacitivo, ‘fuori dal paese’ delle Forze afghane di difesa e sicurezza, soprattutto per le forze speciali, essenziali per contrastare Talebani e formazioni terroristiche.

Guerini conclude: “Ritengo che la presenza delle rappresentanze diplomatiche internazionali nel Paese sia essenziale nello scenario post-Rsm, anche per segnalare alle frange più radicali del Movimento talebano che la Comunità internazionale non intende accettare passivamente che le lancette dell’orologio vengano riportate indietro di un ventennio”.

Il pericolo di ritornare a 20 anni fa esiste e traspare dalle parole preoccupate dei senatori.

A intervenire per prima è la Sen. Bonino  (Misto) che, avendo vissuto 6 mesi in Afghanistan e ricordando quanto la partecipazione femminile avesse affascinato nel 2005, porta alla luce delle perplessità: “Gli attacchi alle forze internazionali sono diminuite ma la violenza interna verso i civili è aumentata. Da questo punto di vista la preoccupazione di tornare indietro sui diritti umani è palpabile. Una delle proposte che le donne hanno fatto al Parlamento europeo è quella dell’istituzione di una Commissione internazionale di inchiesta per avere qualche testimone che rimanga sul terreno a difesa di quanto conquistato fino ad oggi. Sarebbe utile che l’Italia avesse un ruolo preponderante nel Consiglio dei diritti umani di Ginevra in modo da non sembrare coloro che fanno le valigie e se ne vanno”. Stando alle parole della Bonino è importante che l’Italia faccia la propria parte.

Il Sen. Casini  (Aut) riporta una considerazione: “Se noi tra qualche anno dovessimo prendere atto che si sono fatti passi indietro sui diritti delle donne, che il governo afghano non sia in grado di avere un equilibrio, siamo tornati a 20 anni fa, ma non è una risposta a cui deve dare Draghi, Guerini o il governo italiano, è una risposta che noi dobbiamo cercare di darci con un dialogo politico serio sul mondo che vogliamo costruire”. Il timore che venga ripristinato un regime repressivo è condiviso anche dalla Sen. Garavini (IV).

La missione messa in campo dall’Italia si è basata sul fatto di avere la popolazione dalla propria parte e da questo presupposto interviene la Sen. Pinotti (PD): “Grande apertura di fiducia per la partecipazione delle donne alle elezioni, ma poi quei governi non hanno dato corrispondenza e la fiducia è venuta meno e, di conseguenza, la partecipazione alle elezioni è scemata. Per liberare dal terrorismo e seguire percorsi democratici diventa fondamentale l’aiuto militare per aiutare la democrazia. Con lo sforzo si è deciso di diminuire le truppe della coalizione internazionale, ma i signori della guerra continuano ad esistere”.

Una critica arriva dal Sen. La Russa (FdI): “La scelta di venire in aula a cose fatte, credo che questo parlamento avrebbe meritato di svolgere il dibattito prima dell’avvio del ritiro delle truppe” Un punto su cui si sofferma anche il Sen. Gasparri (FI): “La questione non si è chiusa, noi abbiamo votato decine di volte le missioni internazionali, non c’è stato un dibattito parlamentare, la verità è che la decisione degli Usa ha orientato tutto il resto. Quindi noi abbiamo preso atto della decisione degli Stati Uniti”.

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