Cultura / Politica

L’archivio del Presidente K

19
Gennaio 2024
Di Pietro Cristoferi

«Ed allora mi sembra meglio tacere. Vi sarà certo altra più appropriata occasione per farvi conoscere il mio schietto pensiero ed i miei propositi» così nel suo ultimo discorso di fine anno il Presidente Picconatore sembrava profeticamente annunciare ciò che sarebbe avvenuto qualche anno dopo la sua morte, avvenuta nel 2010. 

L’occasione di far rivivere le parole e la memoria di Francesco Cossiga, nome di battaglia “K”, è quella della presentazione del volume dell’inventario dell’Archivio del Presidente donato dai figli alla Camera dei deputati, insieme a Pasquale Chessa, Giuliano Ferrara, Miguel Gotor e tanti altri amici storici e suoi collaboratori. 

Si alterna negli scritti la memoria di un uomo di stato, tanto complesso quanto fedele alle istituzioni; il ritratto di un amico, talvolta severo nel giudizio ma sempre leale; il volto del compagno di partito, abile stratega e straordinario combattente.

Cossiga e lo Stato, Cossiga e i rapporti umani, Cossiga e la politica; tutti ritratti del Cossiga uomo che riusciva a toccare qualsiasi ambito della vita civile, politica e morale.

La lista delle caratteristiche del “Picconatore” (così la stampa lo aveva soprannominato per le sue “picconate” nel settennio presidenziale) è inesauribile: grande ammiratore di Tommaso Moro, uomo libero, radioamatore, abile conversatore, ma anche una persona segnata e triste, un uomo di famiglia complesso, una figura pubblica misteriosa e segreta. 

Cossiga ha battuto tutti i record: per la sua epoca è stato il più giovane in tutto e come è stato detto di lui al suo cursus honorum mancava solo il soglio pontificio. Ma Cossiga fu anche un profeta inascoltato del crollo della Repubblica dei partiti che sarebbe avvenuta poco dopo come raccontò nel libro “Mi chiamo Cassandra”.

Ma “K” è anche l’uomo della vicenda Moro, il dramma che più lo segnò per tutta la sua vita e carriera politica. Dove la “ragion di Stato” si intersecò con l’amicizia. Dagli archivi emerge che Cossiga interpretò la linea della fermezza pubblica. Una linea che però non escluse negoziati segreti. Cossiga era convinto che la linea della fermezza istituzionale era necessaria per tutelare lo Stato stesso. Una scelta sulla quale si continua a discutere ancora oggi. Non si trova molto nell’archivio risalente a quei giorni o al 1978, c’è una corrispondenza in inglese “confidential” dove si riporta l’invito “ad aprire canali riservati e affidabili direttamente dalle autorità (il governo o il partito della Democrazia cristiana) alle Brigate Rosse”.

L’Italia che ha segnato la quotidianità di Cossiga è un’Italia che oggi non esiste più come molti dei suoi rappresentanti. Tra i tanti rapporti che Cossiga ha intessuto nella sua vita ce n’è uno importante e vero con Giulio Andreotti. In una lettera usando la metafora del rapporto con un lontano cugino, K si rivolge al Divo Giulio, con tutta l’amarezza di un’amicizia colpita dallo scontro politico ma leale nel riconoscerla come per la vita: “vi era qualcosa che ogni tanto e anzi con il crescere sempre più spesso interferiva nei nostri rapporti, una incomprensione di fondo sulle motivazioni dei nostri giudizi e anche dei nostri sentimenti non ci frequentammo più neanche nelle riunioni di famiglia, nei tre o quattro momenti dei giorni di dolore che fanno della vita una cosa non banale, un gesto due righe, qualche parola mi fecero sempre comprendere che ci comprendevamo nelle cose essenziali purchè non ricercassimo la comprensione nelle cose banalmente ordinarie, capii che avevo negli anni perduto un’amicizia ma non un amico, questo penso di te, con i migliori auguri”.

Di questo uomo di stato, amico e compagno di partito si deve considerare il suo profondo fattore umano: uno statista “irregolare” segnato che ha profondamente marcato la storia politica dell’Italia.

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