Politica

La difesa digitale, la strategia italiana raccontata da Domitilla Benigni

13
Aprile 2022
Di Flavia Iannilli

Gli scenari internazionali mostrano quanto la diplomazia cammini sul filo del rasoio e non solo in Ucraina. La stabilità degli equilibri è minacciata tanto da scontri convenzionali quanto da attacchi ibridi e ci siamo chiesti se l’Italia sia pronta ad affrontare sfide, ma soprattutto minacce, che riguardano il settore della difesa e della sicurezza. Un tema recentemente affrontato, ma che in pochi ne approfondiscono le sfaccettature. Domitilla Benigni, AD di Elettronica Group e Chairman di Cy4gate, ha chiare le priorità e le esigenze affinché l’Italia possa competere con i grandi attori internazionali nella difesa digitale. Una su tutte: «La gestione dello spettro elettromagnetico si sta rivelando fondamentale per intercettare azioni nemiche e proteggere equipaggi e piattaforme».

Domitilla Benigni, AD di Elettronica Group e Chairman di Cy4gate

A più riprese avete sottolineato quanto sia forte il legame tra la vostra azienda e la partecipazione ai grandi programmi europei degli ultimi decenni, sarà così anche per il futuro? 
Lo scenario geopolitico che abbiamo di fronte lo rende sempre più evidente e necessario. Dopo i fatti dell’Afghanistan e quelli ancora più drammatici dell’Ucraina il dibattito sulla Difesa europea ha avuto una importante accelerazione, fino alle decisioni recenti di sviluppare anche una forza militare. È cresciuta nel contempo la necessità che il nostro Paese e l’Europa si dotino di tecnologie e competenze sovrane negli ambiti di sicurezza e difesa, per conferire piena autonomia strategica negli scenari instabili della geopolitica. I programmi europei sono veicolo di questa autonomia, perché nessun paese europeo potrebbe fare da solo investimenti così ingenti come quelli richiesti dalla grande sfida tecnologica in corso e che chiama in campo Artificial Intelligence, nanotecnologie e in generale tecnologie disruptive, sapendo nel contempo che l’Europa non può contare sulla disponibilità di terre rare. I grandi programmi della Difesa europea hanno creato anzitempo quel tessuto di collaborazione industriale che oggi rappresenta le fondamenta solide su cui la politica di difesa europea può edificarsi. Sostenere una difesa europea significa inoltre, e non certo secondariamente, sostenere anche una difesa che sia garanzia di quei valori europei e democratici che ci contraddistinguono».

La necessità di una forte capacità di difesa è diventata ancora più evidente nel nuovo contesto di sicurezza globale. Cosa pensa del dibattito sugli investimenti dei giorni scorsi?
«È molto complesso commentare decisioni strategiche prese in un contesto di crisi umanitaria come quello attuale. Da osservatore del mondo della Difesa ciò che posso dire è che questo conflitto sia il più eclatante e sconvolgente episodio di un mondo instabile di cui dal nostro osservatorio siamo consapevoli da anni. L’ISIS, le tratte degli immigrati nel Mediterraneo, le guerre ancora in corso in molti Paesi, eppure poco note, hanno creato un mondo insicuro. Per non parlare dell’assottigliamento dei confini tra la Difesa (intesa come intervento militare in uno scenario operativo) e la sicurezza (intesa come minaccia anche urbana della vita dei cittadini ad esempio ad opera di attacchi cyber e droni malevoli). In tal senso la digitalizzazione sta mostrando il suo volto più oscuro. La necessità di una riflessione strutturata sulla Difesa e Sicurezza è dunque arrivata al suo apice, e con essa la necessità di dotarsi di sistemi di difesa moderni ed adeguati alle esigenze attuali, anche in termini di intelligence e sorveglianza in ogni dominio, compresi il cyber e lo spazio. Parlando ad esempio del settore di mia competenza, ossia quello della Difesa Elettronica, nell’attuale scenario digitale dove tutto viaggia sull’Internet of Things, la gestione dello spettro elettromagnetico si sta rivelando fondamentale per intercettare azioni nemiche e proteggere equipaggi e piattaforme. Gli investimenti in ricerca e innovazione sono dunque fondamentali per avere strumenti sempre più all’avanguardia nel contrasto degli attori malevoli e tecnologicamente sempre più avanzati. Oltre al tema della necessità di un ammodernamento dei nostri sistemi di Difesa, come ha ricordato di recente il Ministro della Difesa Guerini, il nostro Paese ha assunto degli impegni in ambito NATO anni fa e ora sta realizzando la decisione di attuarli entro il 2028, presentandoci come un paese credibile nei propri impegni internazionali».

Ad oggi ci si scontra molto con la nuova frontiera degli attacchi ibridi; gli attacchi cyber sono uno dei pericoli più imponenti da cui dobbiamo difenderci. Come siamo strutturati in Italia per poter fronteggiare queste minacce?
«Il nostro Paese negli ultimi anni ha preso piena consapevolezza del problema, ha istituito il perimetro cibernetico nazionale, l’agenzia nazionale per la cybersecurity, messo il tema al centro del PNRR, sta lavorando sul tema delle competenze e, speriamo sempre di più sulla valorizzazione di prodotti nazionali di cybersecurity. Cosa niente affatto scontata in un mercato dominato da attori stranieri. Quando qualche anno fa decidemmo di creare Cy4gate, siamo partiti proprio da questa consapevolezza focalizzando tutti i nostri investimenti sulla ricerca e sviluppo per avere prodotti nazionali. Ci è costato tre anni di importanti investimenti, ma l’eccezionale risultato della quotazione ci ha dato ragione. Il tema della cybersecurity è cosi strategico che ciascun paese deve avere tecnologie sovrane. Si provi ad immaginare se Israele o gli Stati uniti potrebbero mai comprare prodotti non nazionali. In Israele ci sono corsi di Hacking etico anche per bambini alle scuole primarie. In questo ambito ho anche un personale impegno affinché questo mondo, ricco di opportunità, non sia precluso alle donne. Con il capitolo italiano dell’omonima fondazione europea Women4Cyber abbiamo l’obiettivo di ridurre l’enorme gap di partecipazione delle donne al tema della cyber security, ma anche di lavorare al reskilling di altre professioni (giuridiche, economiche, linguistiche) con competenze cyber».

Annualmente Elettronica investe all’incirca tra i 30 e i 40 mln nei programmi europei che riguardano l’innovazione e circa 15mln in ricerca e sviluppo. Sappiamo che la sovranità tecnologica è l’obiettivo dell’azienda, può dirci di più su come raggiungere questo traguardo?
«Come dicevo precedentemente è un traguardo che nessuna azienda, ma anche nessun paese può pensare di raggiungere da solo. Gli investimenti in ricerca e sviluppo sono enormi, per cui come azienda continuiamo ad investire ogni anno volontariamente circa 15 ML ma accanto dobbiamo avere il nostro Paese e il nostro Paese deve avere accanto gli altri paese europei. È una sfida che si vince insieme e che permette a ciascuna azienda di focalizzarsi sulla sua competenza core, evitando inutili duplicati. La sfida è fuori dall’Europa».

L’acquisizione di dati personali è al centro del dibattito, ma quanto, della propria privacy, i cittadini dovranno concedere per poter permettere alla difesa di rafforzare la sicurezza interna?
«Non credo possa rappresentare un tema di preoccupazione reale in un paese democratico come il nostro e con un sistema di regole a piena tutela della privacy. Più preoccupanti sono situazioni in altri paesi, penso alla Cina, dove ad esempio. esistono sistemi di controllo biometrico imposti quasi obbligatoriamente per finalità di sicurezza nazionale o nell’ambito del cosiddetto credito sociale, anche se va detto che nella stesa Cina è stata vinta la prima causa contro la raccolta di dati biometrici senza autorizzazione dell’interessato. Diverso è in Europa dove questo contesto viene disciplinato tenendo conto del diritto alla privacy. Ciò non toglie che sebbene la digitalizzazione offra enormi possibilità, ha anche un altro lato oscuro su cui non bisogna mai abbassare la guardia».

Il Pnrr fornisce fondi significativi al settore digitale e tecnologico, secondo lei queste risorse si intersecano in maniera adeguata con gli obiettivi che l’Italia deve raggiungere?
«Il PNRR ha l’obiettivo di rendere il nostro Paese più digitalizzato, più green, più inclusivo rispetto a giovani e donne con l’obiettivo nel 2026 di avere un Pil di 3,6 punti percentuali più alto e l’occupazione più alta di 3,2 punti percentuali. Il tema della digitalizzazione è uno di quelli strategici se consideriamo che il nostro paese è attualmente al 25° posto tra quelli europei. E a questo obiettivo sono destinati 40,29 (di cui una parte dedicata al tema della digitalizzazione della PA e della cybersecurity). Che sia la direzione giusta non c’è dubbio, così come è importante il capitolo dedicato a istruzione e ricerca per il quale sono stati stanziati 31 mld circa. Viviamo tuttavia in un contesto globale che ci vede confrontarci e competere con partner, ma anche con opponenti, molto sfidanti. Il nostro Paese non può restare a guardare. Che sia una misura di per sé sufficiente non credo anche perché per chi fa della ricerca e sviluppo la propria forza, come il caso della nostra azienda, sa anche che gli investimenti devono essere costanti nel tempo affinché un primato tecnologico acquisito possa essere conservato».