Politica

I limiti delle democrazie nel Mar Rosso

01
Febbraio 2024
Di Flavia Iannilli

La nuova crisi del commercio internazionale si fa trascinare dalle “violente correnti” del Mar Rosso e la rapidità con cui si muovono creano instabilità per la cruciale rotta dei rapporti con l’Asia. Per dirla con le parole del Ministro della Difesa, Guido Crosetto, oggi in audizione presso le commissioni difesa di Camera e Senato: «Le situazioni che viviamo hanno bisogno di velocità dobbiamo coniugare democrazia con velocità e pragmatismo, altrimenti la velocità e il pragmatismo delle autocrazie ci mettono in crisi».

Le correnti che tirano a largo
Nel Mar Rosso transita un sesto del commercio mondiale di cui fa parte sia una massiccia esportazione di idrocarburi sia il 40% del commercio marittimo nazionale. Ma qual è l’impatto della crisi? Una dilatazione dei tempi di navigazione di 10-12 giorni, un incremento dei costi di trasporto che in alcuni casi si sono quadruplicati, un calo del traffico di transito del 38% nel Canale di Suez (già registrato nell’ultima settimana del 2023); questi i numeri alla mano del Ministro della Difesa.

In questa situazione il paradigma mare insicuro è l’iceberg che fa affondare il Titanic del commercio internazionale; una nave che imbarca acqua a causa dell’aumento dei costi delle merci, dei trasporti e delle assicurazioni. Per questo molte compagnie di trasporto si sono lasciate ispirare da Magellano, decidendo di circumnavigare l’Africa piuttosto che passare da Suez e rallentando l’economia.

Ma in che modo questo enorme mulinello trascinerebbe con sé anche l’Europa? Le azioni terroristiche delle milizie yemenite filo-iraniane Houthi hanno iniziato a colpire le navi in transito nello stretto di Bab el-Mandeb, che se da una parte divide lo Yemen dalla Somalia dall’altra collega l’Oceano Indiano al Mar Rosso. Quindi se il Canale di Suez può essere visto come la porta di accesso al Mar Mediterraneo lo stretto di Bab el-Mandeb è l’anticamera di ingresso. Ma per quanto queste due vie di transito abbiano le chiavi in mano per potersi affacciare al Mare Nostrum ad oggi rappresentano un collo di bottiglia che va a stringersi sempre di più a causa dell’instabilità. Non solo una conseguenza geopolitica che mette in evidenza la marginalizzazione dei porti nel Mar Mediterraneo, ma un pericolo che si riflette “perfettamente” sull’economia italiana, europea e globale.

Galleggianti e fari
Per non rischiare di essere risucchiati dal fenomeno della pirateria, come accadde nella prima decade del millennio nell’Oceano Indiano, l’Italia è scesa in campo. Prima con la fregata Fasan, oggi sostituita con la Martinengo, e poi con l’iniziativa Aspides (scudo in greco) dell’Unione Europea che dovrebbe aver come quartier generale Larissa, proprio in Grecia. Aspides è la nuova operazione di sicurezza marittima che punta a difendere il transito in tutta l’area fino a Suez, alla quale si auspica che possano partecipare anche Paesi arabi moderati. In merito Bruxelles prevede di ottenere il voto unanime dei 27 stati membri per poter tenere fede all’impegnativa tabella di marcia stilata ad hoc per il lancio dell’operazione durante la riunione dei ministri degli Esteri prevista per il 19 febbraio.

A questo, come ha spiegato Crosetto, poi si dovrà aggiungere l’ultimo passaggio: «la Difesa potrà valutare più concretamente quale contributo operativo fornire, inserendo la delibera missioni 2024 per il passaggio parlamentare previsto». Un nodo particolare che mette in luce i limiti della legge 145 del 2016 che ad oggi non permette una tempestiva capacità di risposta alle crisi; una prontezza di cui le autocrazie non fanno segreto.

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