Politica

Meloni-Berlusconi. Pace fatta. Che inizino le danze. Valzer o Taranta?

17
Ottobre 2022
Di Giampiero Cinelli

Pace fatta tra Silvio e Giorgia. La suspense si scioglie. Stamane le dichiarazioni dei leader del centrodestra miravano a distendere. Inclusa quella dell’«armonia» assicurata da Ignazio La Russa. I media hanno propeso verso l’interpretazione che l’incontro di Via della Scrofa fosse più che altro un passaggio dalla valenza comunicativa. Il confronto politico invece c’è stato, lungo circa un’ora e mezza. E non ha causato la rottura dei patti.

La nota congiunta informa che «Le forze di centrodestra si presenteranno insieme alle consultazioni al Quirinale e lavorano con unità d’intenti e massima concordia». Particolari sulla squadra di governo non si sanno. Ma i due leader hanno parlato dei principali dossier economici, incluso quello dell’energia, come dice il comunicato.

In pochi credevano che non sarebbero stati tolti gli ormeggi all’esecutivo che si andrà formando dopo le consultazioni in programma probabilmente da mercoledì. Meloni conta di sciogliere la riserva sull’incarico di formare un governo forse anche entro lunedì prossimo. Restare impantanati, non conveniva neppure a Berlusconi, al quale poi sarebbe toccata la bega di spiegare a un elettorato sempre più pressato dai problemi reali, e a un’imprenditoria assai preoccupata e vessata dalla congiuntura, perché le sue esigenze fossero a tal punto fondamentali, tanto da non avallare la squadra pensata dalla leader dell’alleanza.

Ciò non vuol dire che si possa già scommettere in un governo comodamente avviato verso un quinquennio di potere assoluto. I numeri a Palazzo Madama non sono poi esorbitanti, con 13 senatori a determinare la maggioranza. E se questa politica può offrire ancora qualche insegnamento, è che nessun governo italiano ha garanzia di stabilità. Neppure quando una coalizione ha raccolto un consenso così ampio. Anzi, il paradosso che cogliamo in queste ore, è che un grande consenso espone alla voglia di rivalsa di chi si sente schiacciato. Insomma, per reinterpretare Andreotti, “il potere logora chi ce l’ha”. Non sarà questo il giorno in cui Giorgia Meloni, neppure ancora premier, dovrà rimettere la palla al centro. Silvio Berlusconi, avvezzo a “scendere in campo”, è andato all’incontro senza la pretesa di vincere. Lessico di sfida, strano per degli alleati, eppure la Seconda Repubblica ci ha abituato a mettere i giochi di potere quasi sempre prima della ragion di Stato. Quella ragion di Stato che si sono arrogata i governi tecnici degli ultimi dieci anni. Assertivi loro, assai meno gli elettori. Stanchi delle lacrime e sangue e desiderosi di una via, un disegno in cui identificarsi.

L’identità, seppur mettendo parecchia cenere sotto il tappeto, riesce a diffonderla, attualmente, l’area di centrodestra. Fatta di leader diversi per carattere e visione geopolitica, ma in fondo pragmatici e disposti a moderarsi quando il livello istituzionale lo richiede. Per intenderci Matteo e Giorgia sono duri, ma non duri e puri. Capaci di compattare larghe fasce di popolazione in nome di pochi concetti sebbene molto radicati nell’inconscio collettivo. Ovvero l’idea di un individuo in grado di determinarsi e perseguire un utile che poi si riverbera nella collettività. La rivoluzione liberale Berlusconi fatica a lasciarla in eredità ai due giovani. Credendo di poterne essere, anche per incarnazione diretta, l’unico profeta credibile. Tuttavia il motivo del suo chiassoso disappunto era dovuto soprattutto alla presunzione di mettere persone a lui direttamente funzionali nei ruoli di giustizia e telecomunicazioni. Non gli bastava la potenziale parola, da parte della leader di FdI, che i nomi preposti sarebbero stati di suo gradimento. Ma non è più il 2002. Lo scenario è cambiato e una Italia emanazione di Berlusconi non è più possibile. Lo sa in cuor suo il Cav. Glie l’hanno detto chiaramente Gianni Letta e i figli Marina e Pier Silvio. Si può stare anche un passo indietro. Di questi tempi. Lo spettacolo può cominciare.