È chiara a tutti la situazione di impasse politica in cui si trova oggi il fronte progressista. La doppia scommessa su cui avevano puntato i dirigenti dell’ipotetico campo largo non si è per ora rivelata vincente: per un verso, la coalizione non c’è ancora; per altro verso, non si vedono segni di logoramento della leadership di Giorgia Meloni.
E le buone notizie – dal punto di vista della sinistra – tardano a giungere: è andata malissimo nelle Marche, peggio ancora in Calabria, è arrivato un prevedibile brodino in Toscana, mentre i sondaggi nazionali restano cupi.
E soprattutto – ecco il punto – nessuno percepisce l’embrione di una credibile alternativa al centrodestra in vista del 2027. C’è chiasso, questo sì; c’è un insieme di insoddisfazioni e di sentimenti negativi; ma non c’è una controproposta di governo, un “ubi consistam”, figurarsi uno straccio di programma.
In queste condizioni le strade sono due. L’una (difficile e tortuosa ma seria) sarebbe quella di lavorare per conseguire proprio quegli obiettivi: una leadership e un profilo (di partito e di coalizione) per provare almeno a dare l’idea di un’ambizione di governo. Starei per dire di governo di se stessi, in primo luogo. L’altra strada è quella di proseguire con l’assemblea scolastica permanente, ogni giorno un po’ di casino. E, per spiegare questa disastrosa opzione, non servono molti commenti: basta seguire le giornate di Elly Schlein.





