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Non basta la cassetta degli attrezzi, serve una mano che la usi
Di Gianni Pittella
I portavoce della Commissione europea si sono affrettati a rassicurare: «noi abbiamo la cassetta degli attrezzi pronta per essere protagonisti della fase due del piano Trump per la ricostruzione di Gaza e la stabilizzazione della regione». E non c’è dubbio che gli attrezzi ci siano, e che la competenza e l’esperienza sul campo non manchino. Ma il tema è molto più ampio, complesso e politicamente sensibile. Non fingiamo di non vedere che la tregua realizzata è un punto di partenza enorme, ma il traguardo finale è lontano e il percorso è pieno di insidie. Come si realizzerà la smilitarizzazione di Hamas, come e quando si completerà il ritiro delle truppe israeliane, come sarà costruita la governance dell’area di Gaza — perché è evidente che i palestinesi non possono esserne esclusi — e come si affronterà il nodo della Cisgiordania e dei territori occupati dai coloni? Come si garantirà la sicurezza di Israele e un assetto stabile della regione che veda il prevalere del mondo arabo moderato e di una leadership israeliana anch’essa moderata? E come e in che tempi si intenderà procedere al riconoscimento e alla costituzione dello Stato palestinese? Sono tanti “come e quando” che, insieme al “quanto” servirà per tutto questo, rappresentano i veri nodi politici sui quali l’Unione Europea è chiamata a battere un colpo, ad essere un attore globale che non si accontenta di gestire lo strapuntino o di assicurare un’opera peraltro preziosa di sostegno umanitario.
Eppure, la cassetta degli attrezzi europea è reale e potenzialmente efficace. L’Unione dispone di strumenti finanziari e diplomatici di grande portata: dall’NDICI–Global Europe, che finanzia sviluppo e cooperazione nei Paesi del vicinato, al Global Gateway, che mira a costruire infrastrutture strategiche e reti energetiche, digitali e sanitarie tra Europa, Medio Oriente e Africa. Vi è poi l’European Peace Facility (EPF), fondo che consente di sostenere missioni di sicurezza e stabilizzazione, e l’intero sistema della Politica di Sicurezza e Difesa Comune (CSDP), con cui l’UE può dispiegare missioni civili e militari coordinate dagli Stati membri. A questi strumenti si affiancano la capacità diplomatica del Servizio Europeo per l’Azione Esterna (EEAS) e dell’Alto Rappresentante, le misure normative — sanzioni mirate, strumenti anti-coercizione, controllo sugli investimenti strategici — e le politiche di sicurezza marittima e commerciale che completano il quadro della proiezione esterna europea.
Proprio oggi, la vicepresidente della Commissione Dubravka Šuica ha annunciato il nuovo Patto per il Mediterraneo, una cornice politica e finanziaria che ambisce a dare coerenza a questi strumenti e a rafforzare la cooperazione con i Paesi della sponda sud. Il Patto, articolato su tre pilastri — persone, economia sostenibile e integrazione, sicurezza e stabilità — punta a mobilitare le risorse di NDICI–Global Europe, Global Gateway, BEI e Stati membri per creare una piattaforma euro-mediterranea di sviluppo e stabilizzazione. Se attuato davvero, potrebbe rappresentare la cornice ideale per l’impegno dell’Europa nella “fase due” della ricostruzione di Gaza, offrendo una visione di lungo periodo che tenga insieme diplomazia, sicurezza, investimenti e governance. Ma resta il dubbio, sollevato da più parti, che senza una reale leadership politica europea il Patto rischi di restare una dichiarazione d’intenti, una ripartenza senza sostanza.
E qui ritorna il refrain della nostra pluridecennale battaglia politica: continueremo ad andare alla rinfusa con sette, otto, nove leader che fremono per occupare il posto più importante nella photo opportunity con Trump, o finalmente capiremo che serve una rappresentanza unica, capace di parlare con una sola voce a nome dell’Unione Europea in politica estera e di difesa? Perché se non sciogliamo questo nodo, a poco servirà la cassetta degli attrezzi europea. Gli strumenti funzionano solo se c’è una leadership politica unitaria e forte, se c’è una mano e una visione che ne guidino l’utilizzo. Ed è questa la sfida vera che attende l’Europa: non limitarsi ad esserci, ma essere protagonista, capace di guidare e non di inseguire, di costruire e non soltanto di reagire.





