Per carità, il dibattito (come si dice?) è sempre fecondo e arricchente, e (di nuovo: come si dice?) un discorso pubblico aperto e vibrante è fatto di punti di vista differenti e competitivi.
Ecco, pagato il nostro omaggio politicamente corretto all’elogio del pluralismo, resta un auspicio. Comunque la si pensi sulla delicatissima situazione in Medio Oriente, sarebbe auspicabile che ci si risparmiasse il “forza Ayatollah”.
La teocrazia islamista iraniana è un regime sanguinario e feroce che, prima di voler distruggere Israele, opprime il suo stesso popolo. Gli oppositori e i dissidenti possono “scegliere” tra la galera, la morte e l’esilio; le donne sono in uno stato di semisegregazione; gli omosessuali vengono orribilmente perseguitati o eliminati. Per sovrammercato, buona parte del terrorismo che avvelena l’area da decenni (Hamas, Hezbollah, Houthi) è foraggiato e ispirato dal vertice iraniano.
Ci sono ottime ragioni per sperare che il regime cada. O, se stavolta non cadrà, che sia meno forte e più fragile. Qualsiasi forma di equidistanza tra Israele e questo inferno sulla terra appare dunque insensata. E meriterebbe un solo test di realtà: inviare a Teheran gli apologeti del regime, affinché possano “goderselo” fino in fondo.
