Innovazione

Netflix in crisi, l’on demand alla prova nel mondo post Covid

21
Aprile 2022
Di Giampiero Cinelli

Dalla febbre dello streaming alla fuga dallo streaming. Degli investitori. Netflix l’altro ieri ha perso sul Nasdaq il 40%, bruciando 60 miliardi di dollari. Un’azione del colosso dei servizi on demand ora viene scambiata a 220 dollari, rispetto ai 700 di novembre, come si legge sul Sole24ore. La relazione trimestrale presentata agli azionisti è in negativo, per la prima volta dall’ottobre 2011, ma anche l’ultima relazione del 2021 non aveva soddisfatto le attese in termini di nuovi abbonati, sebbene il fatturato fosse in linea con le stime a 7,71 miliardi di dollari. A pesare adesso sulla crisi di Netflix, infatti, è la perdita di abbonati. Ben 200mila. Passando quindi da un totale di 221,8 utenti a 221,6 nel marzo 2021.

Scendono pure i ricavi, con un utile a 1,60 miliardi di dollari dagli 1,71 miliardi dell’anno prima. L’azienda è stata dunque costretta a rivedere le stime di crescita, dal 24% al 9%.

Ma la crisi di Netflix non è solitaria. Lo scossone non ha risparmiato i competitor. La piattaforma di Disney, Disney +, ha perso il 5%, Warner Bros Discovery il 3,5%, Roku il 6%.

Gli abbonati potrebbero ridursi ancora, a -2,5 milioni nel prossimo trimestre secondo le previsioni dell’azienda californiana. Non solo per l’attuale decisione di non erogare il servizio in Russia, dove la piattaforma vantava 700mila sottoscrittori, ma per via della crescente concorrenza all’interno del mercato on demand. C’è poi il nodo delle frodi, ovvero la tendenza a condividere i contenuti con terzi utilizzando la password di un account già esistente. Tra le contromisure pensate, un sistema di autenticazione e l’inserimento di pubblicità. Il costo dell’abbonamento a Netflix è infatti il più alto negli Stati Uniti rispetto alle altre piattaforme. Questo non piace neanche al Ceo Reed Hastings, ma lui stesso ha commentato: «Sebbene io sia un fan della semplicità e contro le complicazioni date dalla pubblicità, sono anche fan di dare agli utenti la possibilità di scegliere».

LE ALTRE CAUSE
Numeri da considerare, ma che tuttavia non devono allarmare. Potrebbe trattarsi di un assestamento, utile a capire come inquadrare nel lungo periodo, dal punto di vista finanziario, il settore delle grandi aziende Tech, iniziando a vederle come stock pregiati ma probabilmente non più lanciati verso una crescita costante nel tempo. Un fattore è sicuramente la fase calante della pandemia e l’arrivo della bella stagione, con le persone che saranno maggiormente portate a stare fuori casa. Comunque una risposta parziale. Dunque cosa succede al Nasdaq, uno dei principali indicatori dei listini tecnologici? Nel giorno della debacle Netflix ha chiuso in rosso del 15% e sconta le performance incerte, oltre che di Netflix, anche di Meta (Facebook), Alphabet (Google), Apple e Amazon, tutti in performance negativa da inizio anno. Evidentemente, come osservano gli analisti, in questo periodo caratterizzato da alta inflazione, petrolio e gas ai massimi e incertezza sul piano geopolitico, i mercati preferiscono concentrarsi sui titoli legati alle materie prime energetiche, l’oro, i prodotti agricoli ma anche l’aerospace e il nucleare. Una scelta per massimizzare i guadagni e difendersi dall’inflazione. Il digitale potrebbe recuperare appeal una volta che ci si sarà adattati al quadro recessivo. Ma sui tempi è difficile fare pronostici.

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