Innovazione

Intelligenza artificiale, lieta di servire e così sia

07
Marzo 2023
Di Flavia Iannilli

“Uno è lieto di poter servire” la celebre frase pronunciata da Robin Williams nell’interpretazione di Andrew Martin nel film “L’uomo bicentenario” rimane un monito inaspettatamente attuale. L’intelligenza artificiale trova la propria dimensione senza aver bisogno di fare a gomitate tra le nuove tecnologie del nostro tempo. Il caso di ChatGPT ha fatto il giro del mondo in poche ore rispecchiando il vero obiettivo delle IA: incrementare il benessere dei cittadini.

Stephen Hawking, connesso al Web Summit di Lisbona del 2017, ha dato ampio respiro alle preoccupazioni che possono derivare da una semplificazione della vita utilizzando il progresso tecnologico: «Siamo sulla soglia di un mondo completamente nuovo. I benefici possono essere tanti, così come i pericoli. E le nostre IA devono fare quello che vogliamo che facciano».

Dalle intelligenze artificiali che raccomandano canzoni all’utente a quelle che consigliano dei trattamenti medici le sfide diventano sempre più impegnative. La realizzazione della tecnologia percorre una strada impervia non tanto quando un IA viene progettata rispetto ad uno scopo business to business, ma quando vuole essere utilizzata nel business to consumer.

L’attenzione di chi guarda con diffidenza la rivoluzione industriale in atto è rivolta al processo umanocentrico, affinchè vengano rispettati i diritti fondamentali dell’uomo. L’IA «potrebbe sviluppare, in futuro, una volontà propria, che potrebbe addirittura essere in conflitto con la nostra» ammonisce Hawking. Motivo per cui la programmazione di tale tecnologia deve avere tre requisiti fondamentali: uno scopo etico, una messa a terra affidabile e un elenco di valutazioni effettuate caso per caso.

La vera sfida è fronteggiare un’etica nuova che possa tenere a bada le conseguenze negative, le quali potrebbero trasformarsi in pericoli derivati da una mentalità rigida. L’applicazione dell’intelligenza artificiale nella giurisprudenza fornisce un esempio a portata di mano.

Da tempo negli Stati Uniti, sempre sotto la supervisione umana, si sta sperimentando l’utilizzo dell’IA per smarcare più velocemente alcuni casi giuridici. Senza dimenticare che il sistema americano si basa sul Common law e quindi sul precedente vincolante, la nuova tecnologia possiede un bacino di incubazione nella ricerca di precedenti molto più ampio della mente umana, oltre a fornire un vantaggio relativo alla tempistica che snellisce il procedimento stesso.

In Italia si può analizzare il tema della Giustizia predittiva ossia la possibilità di prevedere l’esito delle sentenze attraverso calcoli matematici; struttura già consolidata in molti paesi. Lo scetticismo di molti punta i piedi sul differente sistema italiano fondato sul Civil law. Ordinamento giuridico che permette al giudice un ampio margine di manovra rispetto alla decisione da prendere senza avere il vincolo dei giudizi precedenti.

Se da una parte il sistema di machine learning aiuta il processo, dall’altra lo espone ad un pericolo altissimo. La spaccatura del giudizio sull’impatto futuro degli attuali mutamenti tecnologici è strettamente legata ai fattori sociologici derivanti dal comportamento umano che interagisce con l’IA. A questo timore si aggiunge l’allerta connessa al fattore psicologico. Come? Se è vero che i cittadini si interfacciano con una macchina intelligente è vero anche che quella macchina è stata programmata da una persona. La stessa persona che ha un vissuto e dei pregiudizi, qualsiasi essi siano.

La famosa diffidenza di alcuni getta le fondamenta proprio sui bias cognitivi o distorsione cognitiva. Inclinazioni a cui ogni persona è soggetta, programmatori compresi; conseguentemente anche l’IA rischia di ricevere la stessa impostazione tenendo sempre in considerazione la carenza di una capacità sentimentale che una macchina non possiede.

Stephen Hawking si riteneva un ottimista: «Credo sia possibile creare un’intelligenza artificiale per il bene del mondo». Nonostante la positività molti si chiedono dove andremo a finire? Dov’è collocata la linea di confine? La risposta non è a portata di mano. Ma forse basterebbe porsi una questione diversa: se il “Congresso Mondiale”, collocato nel 2205 dal regista Chris Columbus, che ha giudicato Andrew Martin (descritto, immaginato e riprodotto come uno dei primi prototipi di robot positronico) fosse stato composto da intelligenze artificiali, ad oggi saremmo cresciuti con lo stesso lieto fine?