Esteri

Usa 2024: Trump rinviato a giudizio, la corsa alla Casa Bianca fa tappa in tribunale

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Marzo 2023
Di Giampiero Gramaglia

Joe Biden e i democratici sono in solluchero, ma non lo danno a vedere (e la stampa liberal gioca, anzi, a fare la garantista). Ron DeSantis e repubblicani vecchio stampa masticano amaro. L’incriminazione di Donald Trump – senza precedenti, nella storia degli Stati Uniti – può costituire un colpo mortale per le ambizioni del magnate di ritorno alla Casa Bianca; ma, nell’immediato, può galvanizzare la sua base ‘anti-sistema’ e spianargli la strada alla nomination repubblicana.

Ma il cammino, di qui alle primarie – nove mesi – e alle elezioni del 5 novembre 2024 – 18 mesi –, è ancora lungo e denso di incognite. Per Trump, che potrebbe essere solo all’inizio di uno slalom nelle disavventure giudiziarie; e anche per Biden, il cui tasso di approvazione, per un sondaggio dell’Ap, è sui minimi storici della sua presidenza, tra inflazione, banche in crisi, migranti e tensioni con Russia e Cina.

Alla fine, a New York, tanto tuonò che piovve: dopo falsi annunci e attese artificiose per stemperare la tensione creata dai falsi annunci, Donald Trump è stato formalmente incriminato a Manhattan e dovrebbe comparire davanti a un giudice martedì 4 aprile, per sentirsi notificare le accuse ed essere ritualmente rinviato a giudizio, arrestato e contestualmente rimesso in libertà su cauzione.

Se il magnate ex presidente si presenterà volontariamente in aula, come in passato fecero suoi sodali tipo Steve Bannon e Roger Stone, gli verrà probabilmente risparmiata l’umiliazione delle manette. Ma non è escluso che Trump cerchi l’immagine shock. E una prassi cui sono soggette, ogni giorno, a New York, centinaia di persone e che serie televisive alla Law & Order e film polizieschi hanno ormai reso familiare anche per noi.

A carico del magnate, oltre trenta capi d’accusa, nella vicenda del pagamento in nero di una somma di 130 mila dollari alla pornostar Stormy Daniels, al secolo Stephanie Clifford. Il versamento avvenne nel 2016, in piena campagna elettorale. I soldi non erano destinati a compensare prestazioni sessuali, ma a comprare il silenzio di Stormy sui loro rapporti sessuali risalenti al 2010, quando Trump non immaginava ancora di scendere in politica, ma era già sposato con Melania, all’epoca incinta del loro unico figlio Barron.

L’inchiesta andava avanti da anni e si basava sulla testimonianza dell’ ‘ufficiale pagatore’, cioè l’ex avvocato personale di Trump, Michael Cohen. Alvin Bragg, procuratore generale di Manhattan, aveva riunito un Grand Jury, davanti al quale sono comparsi, fra gli altri, Cohen, nel frattempo già condannato e radiato dall’albo, e la Daniels, alias Clifford.

Le reazioni di Trump non si sono fatte attendere: ha definito l’incriminazione «una persecuzione politica» e «una interferenza nelle elezioni mai vista prima nella storia». Pure esponenti repubblicani critici verso l’ex presidente si sono – per così dire – allineati nel prenderne le difese: l’ex suo vice Mike Pence giudica l’incriminazione «un cattivo servizio alla Nazione» perché polarizzerà ulteriormente l’opinione pubblica; diversi Congressman repubblicani stanno dalla parte di Trump.

Trump è così divenuto il primo ex presidente degli Stati Uniti incriminato per reati penali, dopo essere già stato il primo presidente sottoposto a due procedimenti di impeachment, entrambi conclusisi senza una condanna. La decisione della procura di New York avrà inevitabilmente impatto sul tentativo del magnate di ottenere l’anno prossimo la nomination repubblicana e riconquistare la Casa Bianca.

Ad andare per prima a dama, è quella in apparenza meno grave fra le inchieste giudiziarie in atto nei confronti di Trump. Le ‘scappatelle’ del magnate, con pagamenti in nero annessi, sono, in fondo, poca cosa rispetto alle sue responsabilità nell’insurrezione del 6 gennaio 2021, quando migliaia e migliaia di facinorosi da lui sobillati diedero l’assalto al Campidoglio per indurre senatori e deputati a rovesciare il risultato delle presidenziali del 3 novembre 2020; o alle pressioni esercitate sui leader della Georgia perché gli “trovassero i voti” necessari e mancanti per aggiudicarsi lo Stato; o ancora per la sottrazione agli Archivi Nazionali di centinaia di documenti riservati portati da Washington nella sua dimora di Mar-a-lago in Florida; o, infine, per la disinvolta gestione, finanziaria e fiscale, della Trump Organization, la holding di famiglia. Tutte queste indagini stanno procedendo, l’una separatamente dall’altra.

All’inizio della settimana scorsa, Trump aveva diffuso la falsa notizia d’un suo imminente arresto, mettendo in subbuglio la sua base e creando i presupposti per dimostrazioni e tumulti. Non è però escluso che New York diventi teatro di violenze la prossima settimana, quando Trump comparirà davanti a un giudice per il rinvio a giudizio formale.

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