Esteri

Ue: un Vertice per scegliere tra una ‘a’ e una ‘e’, nella guerra tra Israele e Hamas

27
Ottobre 2023
Di Giampiero Gramaglia

Una ‘a’ o una ‘e’: se ne discute per cinque ore. Alla fine, è una ‘e’. E poi non dite che i Vertici sono inutili: qualcosa decidono. I capi di Stato e di governo dei 27 trovano un accordo: chiedono che, nella guerra tra Israele e Hamas, che ha già fatto complessivamente circa 10 mila vittime, oltre 2000 bambini, ci siano “pause” umanitarie, e non una pausa umanitaria.

La differenza? Le pause sono come quelle alla macchinetta per il caffè durante il lavoro: si fanno e poi si torna a smazzare pratiche, o a scrivere articoli; in guerra, si fanno e poi si torna a combattere e ad ammazzare. La pausa sarebbe stata un passo più coraggioso, quasi un cessate-il-fuoco: si smette di bombardare e di lanciare razzi e si negozia. Ma così si rischiava d’irritare la sensibilità israeliana.

Un Vertice di guerra, quello di Bruxelles ieri e oggi; anzi di guerre. Ne abbiamo già visti da quando, venti mesi or sono, la Russia ha invaso l’Ucraina. E, ora, Israele è sul punto di invadere la Striscia di Gaza, dopo avere subito, il 7 ottobre, il più grave attacco terroristico della sua storia – circa 1400 vittime -. Fuori dal palazzo che ospita il Vertice a Bruxelles, il Justus Lipsius, manifestanti agitano bandiere della Palestina, lo Stato mai nato nonostante le promesse e le premesse di trent’anni fa.

Alla fine, “passa la linea morbida”, nota EuNews, su cui i 27 trovano il consueto minimo comune denominatore che fa velo a divergenze e differenze. L’Italia approva e fa discorsi di lungo respiro: “Per sconfiggere Hamas – spiega la premier Giorgia Meloni -, va risolta la questione palestinese”; e il ministro degli Esteri Antonio Tajani le va in scia, “per delegittimare Hamas, bisogna creare lo Stato palestinese”. Trent’anni esatti che lo si sa, lo si dice e lo si scrive; ma mica è stato fatto, complice – anche – l’Unione, che assiste ignava e lascia fare agli Stati Uniti.

Che, infatti, non restano con le navi in mano. Il presidente Usa Joe Biden dà ordine di condurre “attacchi mirati” sulle postazioni in Siria dei miliziani appoggiati dall’Iran dopo un’ondata d’attacchi sulle truppe americane ancora di stanza nella Regione – a fare che, non è proprio chiaro -. Il segretario alla Difesa Usa Lloyd Austin fa sapere che “azioni di auto-difesa” hanno colpito due installazioni nella Siria orientale utilizzate dai Guardiani della Rivoluzione iraniani e da milizie loro affiliate. Negli ultimi giorni, una ventina di militari statunitensi sono stati feriti in attacchi alle loro basi in Iraq e in Siria: scaramucce nel contesto dei rischi di allargamento della guerra fra Israele e Hamas.

La richiesta di “pause umanitarie” è davvero il minimo sindacale, di fronte alla carneficina in atto, per la terza potenza economica mondiale dopo Usa e Cina, l’area geo-politica più ricca al Mondo, dirimpettaia nel Mediterraneo del teatro del conflitto. Nelle cronache del Vertice, Politico sottolinea il successo diplomatico della Spagna di Pedro Sanchez, che riesce a inserire nelle conclusioni l’idea di una conferenza di pace da convocarsi presto. Una reminiscenza di quella di Madrid che nel 1991 segnò l’inizio del processo che, nel 1993, portò agli accordi di Oslo.

Nella dichiarazione conclusiva del lungo e animato dibattito sul Medio Oriente, il Vertice europea auspica “continuo, rapido, sicuro e indisturbato accesso e aiuto umanitario alle popolazioni che ne hanno bisogno a Gaza”, mettendo in pratica “tutte le misure necessarie, inclusi corridoi umanitari e pause per esigenze umanitarie”.

Rispetto alle bozze di comunicato preparate per il Vertice, viene però aggiunto un paragrafo che prefigura “una conferenza di pace internazionale” da convocare “presto”.

Fonti diplomatiche di vari Paesi indicano concordi che è stata la Spagna a insistere su questo punte: Sanchez, ch,e a differenza della stragrande maggioranza degli altri leader dei Paesi Ue, s’è già espresso per un cessate-il-fuoco nella guerra tra Israele e Hamas, insisteva, quasi da solo, perché si parlasse di pausa, e non di pause, e perché si inserisse il riferimento alla conferenza di pace. E, almeno su un punto, l’ha spuntata.

Le parole del comunicato del Vertice valgono quel che valgono, a fronte di quanto sta avvenendo nella Striscia, che continua a essere colpita con bombe e missili e da cui continuano a partire razzi verso Israele. La scorsa notte, ci sono pure state incursioni di terra delle forze israeliane, un saggio di quella che potrebbe essere un’operazione più vasta ripetutamente annunciata, ma non ancora attuata.

E la vacuità delle conferenze di pace senza chi conta è già stata sperimentata, nella guerra in corso, al Cairo sabato scorso e, nella guerra in Ucraina, dal processo sviluppatosi a Gedda, Copenaghen e che prosegue a Malta in questo fine settimana. Mentre le tensioni accendono focolai di tensione tutto intorno all’Unione, nel Kosovo e nel Nagorno-Karabakh, senza che l’Ue abbia la capacità d’incidere.

Eppure, questo clima costituisce una minaccia economica, oltre che di sicurezza, per l’Unione che, in Francia e a Bruxelles, ha già sperimentato conseguenze letali del risveglio degli integralismi e che teme una fiammata dei costi dell’energia.

Intanto, l’Ucraina continua a sollecitare armi e aiuti e chiede anche all’industria della difesa occidentale di investire nel Paese, con fabbriche che producano in loco armi e munizioni.

La richiesta di Kiev ha già trovato una prima risposta con l’accordo annunciato da Germania e Ucraina e sottoscritto da Rheinmetall e Ukroboronprom, l’azienda pubblica ucraina per la difesa, per produrre su licenza veicoli corazzati. Il cancelliere tedesco Olaf Scholz e il premier ucraino Denys Shmyhal hanno concluso l’intesa a margine di un Business Forum a Berlino, nell’imminenza del Vertice di Bruxelles.

La guerra in Medio Oriente toglie spazio, come era chiaro dalla lettera d’invito ai 27 del presidente dei lavori, il belga Charles Michel, ai temi specifici del Vertice europeo, l’immigrazione, che pure l’Italia e alcuni altri Paesi cercano di legare a quanto sta avvenendo in Medio Oriente, e la trattativa per il rinnovo del Patto di Stabilità, che, dopo una sospensione di tre anni causa Covid, deve tornare in vigore dal primo gennaio.

In proposito, il Consiglio si limita a invitare i ministri delle Finanze a continuare le trattative, puntando a trovare un accordo entro la fine dell’anno. In questo contesto, l’Italia, che mira ad ammorbidire le regole del Patto, potrebbe subire pressioni per la ratifica del Mes, il Meccanismo europeo di Stabilità: è l’unica a non averlo ancora fatto.