Esteri

Nagorno-Karabakh, trent’anni di cessate il fuoco

20
Settembre 2023
Di Flavia Iannilli

I peacekeeper russi raggiungono un cessate il fuoco per l’avvio dei negoziati tra Azerbaigian e separatisti del Nagorno-Karabakh in seguito all’operazione “antiterroristica” avviata da Baku ieri mattina alle 11.40. L’incontro tra le due parti avverrà domani nella città azera di Yevlakh. Le autorità armene riferiscono che il bilancio è arrivato a 32 morti e 200 feriti.  

Le forze azere hanno violato il regime di cessate il fuoco lungo la linea di contatto sia con artiglieria, sia con attacchi missilistici – fonti filo-armene. Nikol Pashinyan, primo ministro armeno, ha dichiarato che le forze dell’Azerbaigian hanno iniziato «un’operazione di sfondamento» con l’obiettivo di prendere il controllo dei centri abitati in Nagorno-Karabakh.

L’attacco azero è stato definito come un’atrocità di massa ingiustificata, repentina e non provocata, motivo per cui i leader internazionali si sono immediatamente esposti per evitare un’escalation. Mosca per prima ha richiesto di cessare il fuoco. A seguire l’Alto Rappresentante per la Politica Estera Josep Borrell, il quale sottolineando l’impegno dell’Ue a facilitare il dialogo, ha dichiarato: “È urgente tornare al dialogo tra Baku e gli armeni del Karabakh. Questa escalation militare non deve essere usata come pretesto per forzare l’esodo della popolazione locale. È necessario un impegno genuino da parte di tutte le parti per lavorare verso risultati negoziali”.

Il segretario di Stato americano Antony Blinken e il presidente francese Emmanuel Macron hanno subito creato un filo diretto con Pashinian specificando l’inammissibilità dell’uso della forza e la corsa all’utilizzo di meccanismi internazionali di allentamento dell’escalation. Nonostante la situazione sia ancora precaria Parigi si è immediatamente mobilitata chiedendo una riunione d’urgenza del consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. 

Ma perché tanto allarmismo? E perché sono trent’anni che rimane una delle maggiori questioni irrisolte?

Il Nagorno-Karabakh con i suoi 11.458 chilometri quadrati è una regione pari alla metà della nostra Toscana e si trova tra Armenia e Azerbaigian. Nonostante nel 1991 si sia proclamata unilateralmente indipendente designando Stepanakert come capitale, tutt’ora fa capo al governo azero per questioni di diritto internazionale. In soldoni il Nagorno-Karabakh, oltre ad essere dimenticato dal mondo, è un paese che non viene calcolato come tale. 

A partire dal 1813 per circa 100 anni il Nagorno-Karabakh rimane sotto il dominio di Sanpietroburgo, fino alla rivoluzione russa quando viene inglobato nella Federazione Transcaucasica che successivamente si divise in Georgia, Armenia e Azerbaigian. Nel 1920 Stalin assegna Nakhichevan e Nagorno-Karabakh all’Azerbaigian, fingendo di non calcolare le sostanziali divisioni all’interno dell’area (98% armeni e quindi cristiani e il 2% azeri musulmani). La disputa diventò più aspra quando crolla l’Urss: 30mila morti e oltre un milione di sfollati. 

Risultato? L’Armenia prese il controllo della maggior parte della regione, compresi i territori circostanti, lasciando una piccola fetta in mano all’Azerbaigian; fino ad arrivare alla famosa autoproclamazione di indipendenza del ’91. Un anno dopo, con l’intervento dell’Osce (Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa), viene creato il gruppo di Minsk: una “task force” di 12 nazioni guidata da Francia, Russia e Stati Uniti, nato con l’obiettivo di promuovere i negoziati tra i due stati. 

Nel 1994 arriva la firma del cessate il fuoco; un traguardo non sempre rispettato che segna un periodo di stallo fondato su un equilibrio precario. Il conflitto riesplode nel 2020 portando con sé sia un nuovo disastroso bilancio di vittime sia una riconquista di un terzo del territorio sotto la sfera azera. Mosca riesce a rinnovare l’impasse calcolando il cambiamento degli equilibri internazionali come l’avvicinamento politico della Turchia all’Azerbaigian. 

Seguendo l’accordo costituito il Cremlino inviò 2.000 soldati nella regione per far rispettare la tregua non schierandosi mai in maniera definitiva. Pochi mesi dopo Baku è stata accusata di bloccare l’unica via d’accesso al Nagorno-Karabakh dall’Armenia (il corridoio di Lachin), fino ad arrivare all’attacco di ieri mattina. 

Mentre il consigliere del presidente ucraino Zelensky invia avvertimenti su Telegram: “un altro promemoria per tutti i Paesi post-sovietici: la Russia tradisce sempre tutti”, Baku valuta di cessare il fuoco solo nel caso in cui i separatisti depongano le armi.

In attesa di capire se si troverà mai una soluzione permanente il premier armeno ha accusato la milizia russa di non fare abbastanza nella regione, dichiarando a Repubblica che “i peacekeeper russi hanno fallito la loro missione”. La dimostrazione che di Re Salomone ce n’è solo uno.