Esteri

Guerre: speranze di pace muoiono a Gaza uccise dai cingolati, in Ucraina da droni e missili

17
Settembre 2025
Di Giampiero Gramaglia

Le speranze di pace muoiono uccise dai cingolati israeliani, a Gaza City, e dai droni e dai missili russi nelle città ucraine. Nella Striscia, nel primo giorno di quella che dovrebbe essere la fase finale dell’operazione Carri di Gedeone 2, l’esercito israeliano ha occupato il 40% della principale città e ha fatto un centinaio di vittime. L’attacco è condotto con centinaia di carri – quelli di vecchio tipo sono stati trasformati in bombe semoventi -, ma anche con droni ed elicotteri.

I militari hanno deciso di aprire una seconda via di fuga verso il sud, oltre a quella costiera: si stima che quasi 400 mila persone abbiamo abbandonato le proprie abitazioni per sottrarsi alla furia dell’attacco. Il capo di Stato Maggiore Eyal Zamir, pur contrario all’operazione, s’è ieri posto e mostrato sul campo alla testa delle proprie truppe. Il ministro della Difesa Israel Katz azzarda improbabili equazioni: “Vogliamo prendere il controllo di Gaza City perché è simbolo del governo di Hamas. Se la città cade, Hamas cade”. Ma capi e miliziani non sono più lì: le truppe israeliane non incontrano resistenza, distruggono e basta.

Il premier israeliano Benjamin Netanyahu approfitta, scrive il New York Times, dell’atteggiamento da “laissez-faire” – così nel titolo – del presidente Usa Donald Trump, “che né gli chiede di frenarsi né avalla apertamente l’attacco”, consentendogli di dare per acquisito “il via libera alle sue azioni”. E così è, in realtà, se l’attacco parte mentre il segretario di Stato Usa Marco Rubio è a Gerusalemme e non batte ciglio.

In visita di Stato nel Regno Unito, Trump pregusta “la pompa e lo sfarzo” che i reali britannici – scrive la Cnn – intendono sciorinare per lui e Melania, con l’intento di catturarne la benevolenza e d’evitarsi momenti sgradevoli. Se Hamas non restituirà tutti gli ostaggi –avverte -, sperimenterà l’inferno. Ma quale inferno è peggiore di quello che i palestinesi stanno vivendo nella Striscia?

I negoziati sono stati sepolti vivi, prima sotto le bombe dell’attacco ai negoziatori di Hamas a Doha la scorsa settimana e ora sotto le macerie di Gaza: l’accoglienza a dir poco fredda riservata a Rubio in Qatar lo prova. E, con le trattative, rischiano di restare sepolti vivi gli ostaggi superstiti – dei 250 circa sequestrati il 7 ottobre 2023, una cinquantina non sono ancora stati restituiti alle loro famiglie e, di questi, una ventina sarebbero ancora superstiti -.

Il generale Zamir afferma che portare a casa gli ostaggi “è un obiettivo di guerra e un impegno etico nazionale”. Ma i familiari dei rapiti accolgono l’attacco con disperazione perché mette a repentaglio la vita dei loro cari.

Poco importa a Netanyahu e alla sua maggioranza di fanatici ultra-ortodossi che il resto del Mondo, l’Onu, l’Ue, i singoli Stati, condannino l’attacco e chiedano a Israele di fermarsi. Netanyahu vede Israele evolvere da ‘paradiso delle start-up’ a ‘Super-Sparta’, una Nazione perennemente assediata dai propri nemici e autarchica, capace di bastare a se stessa – almeno fin quando gli americani aiutano -.

La crisi umanitaria, già gravissima, nella Striscia non può che peggiorare, così come il bilancio delle vittime – oltre 64 mila dall’inizio del conflitto, a fronte delle 1200 circa degli attacchi terroristici in territorio israeliano del 7 ottobre –.

Un team di tre esperti indipendenti, incaricato dal Consiglio dei diritti umani delle Nazioni unite d’indagare, accerta che quello in corso a Gaza è un genocidio e chiede alla comunità internazionale di porvi termine e di punire i responsabili. Il rapporto è molto documentato, corposo e dettagliato, ma Israele lo respinge come “falso e distorto e antisemita”: un frutto della propaganda di Hamas.

La prossima settimana, Netanyahu, che è ricercato per crimini di guerra e crimini contro l’umanità dalla Corte penale internazionale dell’Aja, parlerà all’Assemblea generale delle Nazioni Unite dell’Onu e ha chiesto di incontrare subito dopo a Washington il presidente Trump. Che potrà così inanellare colloqui con leader accusati di crimini di guerra: dopo il presidente russo Vladimir Putin, il premier israeliano.