C’è da stropicciarsi gli occhi e da rimanere francamente basiti. Prendi un quotidiano (italiano, britannico, statunitense) a caso, e trovi pressoché ovunque, con eccezioni più rare di un quadrifoglio, giudizi preventivi e privi di sfumature (dall’esaltazione alla stroncatura) del vertice di Ferragosto in Alaska tra Donald Trump e Vladimir Putin.
Delle due l’una: o molte firme autorevoli sono anche dotate della virtù della chiaroveggenza, oppure il pregiudizio si è ormai impossessato del nostro modo di ragionare, prim’ancora che delle nostre parole.
Ad un’analisi minimamente obiettiva dei fatti, quando mancano alcuni giorni a quel summit, nessuno (nemmeno Trump, Putin e Zelensky) sa come andranno le cose. E sarebbe intellettualmente onesto prepararsi a ogni esito, dal più catastrofico al più desiderabile.
Anzi: sarebbe un esercizio di correttezza nei confronti del lettore provare a illustrare prima non l’esito effettivo del meeting (impossibile da conoscere), ma svolgere insieme una ricognizione dei possibili scenari, senza trascurarne alcuno.
Cito a mero titolo di esempio. Esito negativo secco: nessuna intesa, fallimento del dialogo. Esito negativo nel merito della soluzione trovata: Russia “premiata” che ottiene a tavolino molto più di ciò che sia riuscita a conquistare sul campo. Esito accettabile ma non desiderabile: pesantissime concessioni territoriali da parte dell’Ucraina, in cambio di significative garanzie di protezione futura ottenute da Kiev. Esito desiderabile: protezione futura per l’Ucraina e concessioni territoriali limitate a ciò che oggi è “fotografabile” sul campo di battaglia.
Ho enumerato quattro ipotesi, ma il ventaglio delle possibilità e delle sfumature è ancora più ampio, e il fattore tempo potrà rivestire un ruolo decisivo: ci sarà un cessate il fuoco immediato? Oppure la tempistica sarà dilatatissima, al punto da far immaginare altri mesi di battaglia?
Ecco: nessuno sa cosa accadrà. Sarebbe serio illustrare queste ed altre ipotesi, delineare scenari, ragionare laicamente su ogni esito possibile. E invece no: una polarizzazione disperata e fanatica induce quasi tutti a “sapere” in anticipo che il summit sarà un successo (tesi dei sostenitori acritici di Trump), o che sarà una catastrofe (tesi degli odiatori scatenati di Trump, largamente dominanti nelle redazioni di mezzo mondo). Tutto ciò, molto semplicemente, non è serio.





