Esteri

La svolta della guerra in Ucraina rischia di chiamarsi escalation

16
Settembre 2022
Di Giampiero Gramaglia

La guerra in Ucraina è forse a una svolta. Il rischio, però, è che non si vada verso la pace, ma verso un’escalation del conflitto e un allargamento. Mentre le sue truppe perdono posizioni nel Nord-Est del Paese invaso – in pochi giorni, gli ucraini hanno liberato oltre 6000 kmq di territorio, un’area quasi pari a quella dell’Umbria -, il presidente russo Vladimir Putin incontra il cinese Xi Jinping: è il loro primo faccia a faccia dall’invasione dell’Ucraina; e, per Xi, è anche la prima missione fuori dalla Cina dall’inizio della pandemia, cioè in oltre trenta mesi. Mercoledì, in Kazakhstan, Xi ha pure avuto un improbabile incrocio logistico con Papa Francesco, che partecipava al Congresso, disertato dal patriarca Kirill, dei Leader delle Religioni mondiali e tradizionali. Ma non è scattata una scintilla di pace.

Nell’ambito del nuovo e rafforzato asse, Mosca – Pechino, con il supporto di Teheran, Putin ottiene da Xi la disponibilità “a lavorare insieme come tra grandi potenze”, ma deve anche fornire rassicurazioni. Putin ha più bisogno che mai del sostegno di Xi e di un rafforzamento delle relazioni tra Russia e Cina economiche e commerciali, geo-politiche e militari. Xi è sotto pressione, perché la sua politica ‘zero Covid’ frena la crescita del Paese e la guerra e le sanzioni sono ulteriori laccioli. Entrambi devono fronteggiare una crescente animosità dell’Occidente nei loro confronti; le misure per l’invasione dell’Ucraina, da una parte; l’inasprimento del confronto su Taiwan, dall’altra.

Il refrain cinese è sempre quello della stabilità globale. Alcuni analisti ritengono che non si possa parlare di sostegno di Pechino alla linea di Mosca, ma di “cinismo” cinese di fronte alla scelta russa di scatenare una guerra in Europa. Putin dice di “comprendere le preoccupazioni di Pechino” e denuncia “l’orribile mondo unipolare”, che l’Occidente vorrebbe creare; e reitera la minaccia, se Washington darà a Kiev missili a lungo raggio ci sarà un’escalation del conflitto. Lucio Caracciolo, direttore di Limes ed esperto di geo-politica, definisce questa fase “una guerra indiretta” tra Russia e Stati Uniti.

Sul campo, intanto, l’esercito ucraino riferisce che le truppe russe si sono ritirate da alcuni villaggi nella regione di Zaporizhzhia – l’arretramento, quindi, interesserebbe anche il Sud-Est -. Fonti russe sostengono, invece, di avere respinto un’incursione ucraina nella zona di Kherson.

L’ennesima linea rossa tra Mosca e Washington
Dunque, la Russia torna a tracciare una linea rossa. A Mosca la portavoce del Ministero degli Esteri Maria Zakharova avverte: «La possibile fornitura di missili a lungo raggio da Washington a Kiev sarebbe estremamente destabilizzante. Se gli Usa lo faranno, supereranno la linea rossa e diventeranno parte del conflitto. La Russia si riserva di rispondere adeguatamente». Per Zakharova, gli Usa vogliono prolungare la guerra, a rischio di restarvi coinvolti.

Mentre Putin e Xi si vedono a Samarcanda, il presidente ucraino Volodymyr Zelensky riceve a Kiev la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, che gli porta in pegno d’amicizia cinque miliardi di euro per la ricostruzione.

Sulla svolta in Ucraina, la stampa Usa è prudente e il presidente Joe Biden si esprime con cautela sulla controffensiva delle forze di Kiev e sulla ritirata delle truppe di Mosca: “E’ presto per trarne conclusioni”, dice e ripete girando l’Unione in campagna per il voto di midterm dell’8 novembre.

Due le ipotesi che più preoccupano: che Mosca, per fermare la controffensiva, usi armi nucleari tattiche; o che coinvolga nel conflitto gli Stati Uniti. Anche per questo, citando l’Ap, gli Stati Uniti evitano di inscenare “una danza della vittoria” sull’avanzata ucraina. In visita a Città del Messico, Antony Blinken, segretario di Stato, ricalca le parole di Biden: “Le forze ucraine hanno fatto importanti progressi, specie nel Nord-Est, nella loro controffensiva contro le truppe russe”; ma è “troppo presto per prevederne l’esito” perché i russi mantengono in Ucraina “forze molto significative, così come armi, munizioni ed equipaggiamenti; e continuano a usarle indiscriminatamente contro le forze armate ucraine e contro i civili e le infrastrutture civili”.

Washington mette pure la sordina nel reclamare credito per quanto sta avvenendo: «E’ frutto – dice Blinken – del sostegno che abbiamo fornito, ma è soprattutto frutto dello straordinario coraggio e della resilienza delle forze armate ucraine e del popolo ucraino».

La scorsa settimana, Biden, Blinken e il segretario alla Difesa Lloyd Austin avevano molto insistito con gli alleati europei perché non incrinassero l’unità dell’Occidente in questo momento, che può essere di svolta nel conflitto, percependo le fibrillazioni degli europei sui fronti delle sanzioni e dell’energia, all’avvicinarsi dell’inverno che imporrà loro sacrifici.

L’ora del negoziato? Dubbi e interrogativi
La reazione di Mosca, quale che sia, segnerà un deterioramento dello scenario e un innalzamento del livello di rischio. A meno che russi e ucraini, per motivi diversi, non ritengano che sia giunta l’ora del negoziato: sui media Usa, si osserva che, negli ultimi giorni, fonti russe e ucraine hanno spontaneamente evocato la trattativa, sia pure subordinata a condizioni reciprocamente inaccettabili.

Gli analisti a Washington si pongono una serie di interrogativi. Il dato di fatto è che gli ucraini hanno praticamente ripreso tutto il Nord-est occupato dai russi da sei mesi, nell’area di Kharkiv, favoriti dal fatto che gli invasori hanno spostato truppe ed equipaggiamenti a Sud nell’ipotesi che gli ucraini operassero lì un contrattacco, nell’area di Kherson. Gli interrogativi riguardano che cosa accadrà adesso, se gli ucraini saranno in grado di consolidare le posizioni e se i russi lanceranno, o meno, una leva per rinforzare gli effettivi e mandare rinforzi.

Molta attenzione destano i segnali di incrinature nell’opinione pubblica russa: deputati di Mosca, San Pietroburgo e Kolpino hanno chiesto le dimissioni di Putin, giudicandone le decisioni “lesive degli interessi della Russia e dei suoi cittadini”. L’intelligence statunitense vuole valutare la portata dei fermenti generati dall’ “onda di shock delle sconfitte sul terreno”.

I rovesci sul campo di battaglia danno fiato ai critici di Putin, come inducono i suoi sodali a cercare capri espiatori fra i ministri e i generali. A Kiev è invece difficile contenere l’euforia o quanto meno la speranza che la guerra abbia preso una piega favorevole: le bandiere ucraine che tornano a garrire sui villaggi liberati e delle truppe russe che se ne vanno abbandonando armi e mezzi.

Il New York Times non parla di “segnali decisivi” di una disfatta russa, ma la campagna ucraina “ha tagliato le linee di rifornimento nemiche, creato sbandamento nelle truppe russe, galvanizzato gli ucraini e avvilito i sostenitori di Putin”. Gli analisti, però, non escludono qualcosa di simile a quanto già accaduto dopo la prima fase dell’invasione, cioè una riduzione del fronte, puntando tutto sull’occupazione ed eventualmente l’annessione del Donbass.

Il gasdotto alternativo tra Russia e Cina
Un nuovo gasdotto porterà l’energia russa in Cina passando per la Mongolia: la compagnia russa Rosneft, controllata dal governo, ha raggiunto un’intesa in tal senso con le autorità di Ulan Bator. L’annuncio era stato dato in prima persona la scorsa settimana, il 7 settembre, dal presidente russo, dopo un incontro a Vladivostok con il premier mongolo Luvsannamsrai Oyun-Erdene.

Il nuovo gasdotto si chiamerà Forza – o Energia – della Siberia 2. L’accordo è stato suggellato questa settimana, in Uzbekistan, a Samarcanda, mitica tappa sulla storica Via della Seta, dove Putin e Xi, a margine del Vertice dell’Organizzazione per la cooperazione di Shanghai, la cosiddetta Sco, hanno anche avuto un incontro con il presidente mongolo Ukhnaagiin Khurelsukh.

Della Sco, fanno parte, oltre al nucleo base, Cina, Russia, Kazakhstan, Kirghizistan, Tagikistan e Uzbekistan, anche India, Pakistan e Iran, mentre la Mongolia è un Paese osservatore. Molti Paesi Sco hanno partecipato, a inizio settembre, alle grandi manovre militari russo-cinesi, insieme a Paesi del tutto estranei all’area e all’organizzazione, come, ad esempio, Algeria e Nicaragua.

Tutti segnali che l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia e la reazione dell’Occidente stanno ridisegnando rapporti e alleanze. Il nuovo gasdotto aggiunge un tassello al puzzle. E, negli Usa, ci s’interroga sul ruolo dell’India.

Il vertice di Samarcanda era stato preparato da un incontro tra Li Zhashu, il ‘numero tre’ cinese, presidente del Comitato permanente del Congresso del Popolo e membro permanente del Politburo del Pcc, e Putin all’Eastern Economic Forum, una sorta di contro-Davos del Pacifico russo-cinese (un evento parallelo a un altro Forum economico recentemente svoltosi a Leningrado, sempre presente Putin).

Annunci e iniziative vogliono segnalare che la Russia non è isolata sulla scena mondiale e che, anzi, le relazioni russe e cinesi sono solide e positive, a un mese dal congresso del Pcc che il 16 ottobre deve rieleggere Xi alla guida della Cina per un terzo mandato – fatto senza precedenti -. Mentre, anche causa Taiwan, le relazioni tra Washington e Pechino sono conflittuali.

Putin e Zhanshu avevano notato che Russia e Cina potrebbero presto arrivare a un interscambio pari a 200 miliardi di dollari all’anno. Citato dalla Tass, Putin diceva: «La nostra partnership strategica si sta sviluppando con grande successo, il nostro interscambio cresce, ha raggiunto i 140 miliardi … Nella prima metà di quest’anno è cresciuto del 30% e presto arriverà a 200 miliardi».

Parlando a suocera – la Cina – perché nuora – l’Europa – intenda, Putin aveva aggiunto che Mosca non ha problemi a piazzare le proprie risorse energetiche a livello globale. «La domanda è così alta che non abbiamo problemi a venderle. L’economia cinese è più grande di quella Usa, il fabbisogno cresce, i nostri accordi sono stabili, le relazioni sono a un livello senza precedenti». Russia e Cina paiono quasi complementari, una Super-Potenza militare e una Super-Potenza economica.

Per Putin, la Russia è pronta a soddisfare la domanda di energia di ogni Paese. «Le nostre risorse devono essere destinate principalmente allo sviluppo del Paese. Ma ne abbiamo a sufficienza per soddisfare le crescenti esigenze di tutti coloro che sono disposti a lavorare con noi». Mosca e Pechino hanno appena raggiunto un accordo per pagare l’energia in rubli e in yuan.

A dimostrare che le sanzioni dell’Occidente hanno un impatto relativo sull’economia russa, Putin afferma che il Pil russo quest’anno registrerà “un calo intorno al 2-2,5%”, “un calo insignificante” rispetto alle previsioni post-invasione. E sostiene che “limitare i prezzi del gas russo è un stupidità senza futuro”, perché l’Unione “era un tempo un mercato privilegiato, ora non lo è più”. E mentre nega che la Russia usi l’energia come “un’arma” – “Un’assurdità!” -, sollecita gli europei “a tornare in sé” e avverte che Mosca “non fornirà più petrolio e gas ai Paesi che imporranno un ‘price cap’ sull’energia russa: “Non daremo nulla se è contro i nostri interessi …, né gas, né petrolio, né carbone. Niente”. Non sarà un’arma, ma suona una minaccia.