Esteri

In Medioriente, la tregua è appesa a filo. In Ucraina, Trump ‘fa comunella’ con Putin

20
Ottobre 2025
Di Giampiero Gramaglia

Tregua in altalena e appesa a un filo nella Striscia di Gaza, mentre, sul fronte ucraino, riaffiorano tensioni tra Washington e Kiev che parevano sopite. Israele e Hamas continuano ad accusarsi l’un l’altro di violare l’intesa, mentre il flusso degli aiuti va avanti a singhiozzo ed è inferiore alle attese ed alle esigenze.

La giornata di domenica è la stata la più tragica dal 13 ottobre, cioè dal giorno della firma dell’intesa per un cessate-il-fuoco e il parziale ritiro delle forze israeliane in cambio della restituzione di tutti gli ostaggi ancora vivi nelle mani di Hamas (20, tutti tornati alle loro case lunedì scorso) e anche delle salme di quelli deceduti in cattività – meno della metà dei 28 corpi rimanenti sono già stati consegnati, ma persiste la difficoltà di recuperarli sotto le macerie -.

Ieri, dopo che miliziani palestinesi avevano ucciso due militari israeliani, la reazione israeliana ha fatto, secondo fonti palestinesi, una quarantina di vittime. Allla fine della giornata, però, la tregua sembrava ristabilita, anche per insistenza americana, mentre ci si appresta a riprendere i negoziati sulle altre fasi del piano di pace concordato, il 29 settembre, tra il presidente Usa Donald Trump ed il premier israeliano Benjamin Netanyahu. Il primo nodo da sciogliere, per Israele, è il disarmo di Hamas.

Anche sul fronte della guerra in Ucraina, gli sviluppi diplomatici delle ultime ore non sono positivi. Fonti di stampa hanno ricostruito momenti burrascosi dell’incontro alla Casa Bianca venerdì scorso tra Trump e il presidente ucraino Volodymyr Zelensky. Trump avrebbe spazzato dal tavolo alcune mappe presentategli da Zelensky e gli avrebbe intimato di cedere il Donbass, come chiede Putin, altrimenti l’Ucraina sarà annientata.

Tra rilevazioni e smentite, sembra di essere tornati alle prime settimane della presidenza Trump, quando le posizioni della Casa Bianca e del Cremlino parevano allineate contro Kiev, che può sempre contare, per quel che vale, sull’appoggio europeo, anche se da Londra e da Berlino vengono voci di ‘realismo’.

Nella telefonata con Trump di giovedì scorso, Putin avrebbe posto come condizione della pace che l’Ucraina ceda il Donbass, nonostante esso non sia ancora interamente occupato dalle forze russe. Trump nega, però, di avere affrontato l’argomento e, tanto più, di avere ceduto alle pressioni russe.

Per il presidente statunitense, però, le polemiche del giorno sono sul fronte interno. Sabato, folle di manifestanti stimate, complessivamente, a circa sette milioni di persone hanno sfilato in centinaia di città degli Stati Uniti per denunciare, sotto l’insegna ‘No Kings’, ‘No re’, la svolta autoritaria in atto. E’ stata la terza mobilitazione popolare da quando Trump è tornato alla Casa Bianca e la più grande in assoluto, resa più massiccia anche dalla concomitanza con lo shutdown, cioè la parziale serrata dei servizi pubblici federali.

A migliorare il clima non ha certo contribuito la scelta di Trump di rilanciare un video prodotto dall’AI in cui si vede il presidente in vesti da pilota sganciare da un aereo in volo escrementi sui manifestanti, in segno di evidente disprezzo.