Esteri

Il papa emerito. Principio e conclusione della convivenza dei due papi

05
Gennaio 2023
Di Giampiero Gramaglia

La mattina dell’11 febbraio 2013, stavo moderando un convegno dell’Istituto Affari Internazionali, nella sala multifunzionale di via Minghetti a Roma. Poco prima di mezzogiorno, Lapo Pistelli, uno dei relatori, all’epoca sotto-segretario agli Esteri, ricevette una notifica dell’ANSA sul suo cellulare: un flash, “Papa lascia Pontificato da 28 febbraio”. Pistelli attivò il microfono, interruppe chi stava parlando e comunicò la notizia agli astanti. Sbalordimento generale, incredulità, diffidenza: “Vatti mai a fidarti dei giornalisti!, avranno preso lucciole per lanterne”.

Pochi minuti dopo arriva un dispaccio più articolato: la ”ingravescentem aetatem”, l’eta’ che avanza, è tra i motivi addotti da Benedetto XVI per le sue dimissioni. La sua decisione, annunciata in latino “davanti al collegio cardinalizio e alla Casa pontificia riuniti per un concistoro di canonizzazione, è stata accolta nel più profondo silenzio e con smarrimento”. La sigla in calce alla notizia dell’ANSA è quella di Giovanna Chirri, vaticanista, collega esperta ed affidabilissima: la conosco bene, ne do garanzia agli astanti. Giovanna, cronista scrupolosa, attenta, culturalmente preparata, fu quel giorno l’unica a cogliere, in quel discorso in latino pronunciato in modo un pò faticoso da Papa Ratzinger, il passaggio essenziale e la frase chiave, che risvegliarono dal loro torpore i cardinali presenti.

Lo sbigottimento degli astanti in via Minghetti era specchio dello smarrimento dei cardinali, davanti a una notizia senza eguali almeno da quasi 600 anni, 598 per la precisione, da quando Gregorio XII nel 1515 rinunciò al papato nell’ambito della complessa trattativa ecclesiastico-diplomatica che risolse lo scisma avignonese. Ma nessuno o quasi si ricorda Gregorio XII e gli altri pontefici che, come recitano i testi di riferimento, “rinunciarono al ministero petrino” fino al XIII Secolo: “Se si considerano solo i casi di cui si hanno fonti storiche certe o molto attendibili, Clemente I, Ponzianio, Silverio, Benedetto IX, Gregorio VI”. Per la stragrande maggioranza, il precedente è, quasi per antonomasia, quello di Celestino V, “colui che fece per viltade il gran rifiuto”, che Dante colloca all’Inferno e la cui colpa, agli occhi del poeta, era soprattutto quella di avere favorito, facendosi da parte il 14 dicembre 1294, l’ascesa al soglio papale di Bonifacio VIII.

Visto in una prospettiva storica, e non nella contingenza del presente, il papato di Ratzinger sarà probabilmente un papato di transizione, breve per gli standard moderni – meno di otto anni -, incastonato tra il papato lungo e dinamico, autorevole e un po’ autoritario di Giovanni Paolo II, primo papa non italiano dopo Adriano VI, olandese, morto nel 1523, e il papato del primo papa “venuto dall’altro mondo”, Francesco, portatore di istanze di rinnovamento della Chiesa nel segno di una rinnovata vicinanza ai poveri e agli esclusi.

E il lascito più forte di Benedetto XVI sarà probabilmente proprio quello di avere riconosciuto che, in una società che allunga la speranza di vita più che l’efficienza di vita, i pontefici dovranno essere pronti ad accettare di farsi da parte e di ‘andare in pensione’, quando le energie fisiche e mentali non siano più loro sufficienti ad esercitare un magistero che non è solo teologico, ma anche di presenza e di comunicazione. Francesco elude, ma non nega, il problema nei suoi discorsi: del resto, è evidente la contraddizione tra la norma che esclude dal conclave i cardinali ultra-ottantenni, mentre il papa può continuare a regnare oltre tale età: Benedetto XVI aveva quasi 86 anni quando lasciò; Francesco ne ha già compiuti 86.

La commozione popolare manifestatasi alla notizia della morte del papa emerito il 31 dicembre è stata forse superiore alle previsioni: almeno 200 mila persone hanno reso omaggio al feretro esposto da lunedì 2 gennaio in San Pietro; e, nel giorno delle esequie, si calcola che 100 mila persone siano affluite a Roma, per il primo funerale di un papa celebrato da un papa – per motivi di sicurezza, tutto intorno al Vaticano è stata creata una zona rossa -. C’erano capi di Stato, teste coronate e leader di altre fedi.

È stata l’occasione per manifestare una fede e una religiosità più tradizionaliste, e più ‘ortodosse’, rispetto alle innovazioni francescane. Del resto, è sempre così: un Papa conservatore suscita fermenti e fremiti nella Chiesa progressista; un Papa progressista rinfocola le riserve e le resistenze della Chiesa conservatrice.

Joseph Aloisius Ratzinger, nato a Marktl in Germania nel 1927, in un Paese di cui conobbe ragazzo le esaltazioni del nazismo e adolescente gli orrori della guerra, è stato il 265esimo papa e il settimo sovrano dello Stato della Città del Vaticano, costituito dal concordato tra Stato e Chiesa del 1929. È stato papa dal 19 aprile 2005, successore molto pronosticato di Giovanni Paolo II – uno dei rarissimi casi di cardinale entrato papa in conclave, cioè dato per favorito, e uscitone tale – al 28 febbraio 2013.

Settimo pontefice tedesco nella storia della Chiesa, Benedetto XVI fece scelte controcorrente – rinunciò al titolo di patriarca d’Occidente, rivendicato dai suoi predecessori – e discusse e discutibili, a partire dalla scelta del nome. Benedetto XV, il pontefice della prima guerra mondiale, un papa genovese, nato Giacomo Paolo Giovanni Battista della Chiesa, papa dal 1915 al ’22, si oppose con costanza al conflitto, “l’inutile strage”, e venne perciò considerato dai nazionalisti e dagli interventisti italiani filo-austriaco e filo-tedesco.

Professore di teologia di fama e valore, Ratzinger partecipò al Concilio Vaticano II ed ebbe parte attiva all’attuazione delle indicazioni che ne scaturirono. Nominato arcivescovo di Monaco e Frisinga e creato cardinale da papa Paolo VI nel 1977, durante il pontificato di Giovanni Paolo II fu tra i suoi più stretti collaboratori: resse la Congregazione per la dottrina della fede dal 1981 al 2005, divenendo, nel 2002, il decano del collegio cardinalizio. Dopo le dimissioni, gli fu attribuito il titolo di papa emerito, conservando il trattamento dovuto a Sua Santità.

Le relazioni con gli ebrei, i musulmani e le altre fedi cristiane e i casi, ormai dilaganti, degli abusi dei preti pedofili furono tra le questioni che segnarono il suo pontificato. Le differenze, spesso evidenti, tra la sua visione della Chiesa, un pò culturalmente elitista e condita da qualche vezzo personale, e quella di Francesco hanno, negli anni della convivenza dei due papi, alimentato polemiche, che il suo storico segretario, monsignor Georg Gaenswein, ha creduto opportuno rivangare in una intervista al Tagespost, giornale di Berlino. Gaenswein rivela che il Motu Proprio ‘Traditionis custodes’ pubblicato da Papa Francesco nel 2021, e con il quale di fatto Bergoglio opera una stretta sulla Messa in latino, rattristò il Papa emerito. «Quello è stato un punto di svolta. Credo che Papa Benedetto abbia letto questo ‘motu proprio’ con il dolore nel cuore», dice Gaenswein. Bergoglio, in effetti, fece una revisione del ‘motu proprio’ del 2007 “Summorum pontificum” del suo predecessore.