Esteri

Elezioni, la posizione del Papa sulla politica italiana. Parla Piero Schiavazzi

24
Settembre 2022
Di Marco Cossu

Il Papa ha mantenuto un atteggiamento di distacco nei confronti di questa campagna elettorale, rifiutando ogni volta il coinvolgimento diretto quando è stato chiamato ad esprimersi su temi riconducibili a determinate forze politiche. Nelle sue parole Bergoglio sottolinea più volte la sua distanza dai partiti e dalla politica italiana in generale, esprimendo però allo stesso tempo un giudizio netto nei confronti del sistema istituzionale italiano. Abbiamo incontrato Piero Schiavazzi, Vaticanista e docente di Geopolitica Vaticana alla Link Campus University, per spiegarci il messaggio complesso del Santo Padre e fare chiarezze sulle aspettative che la Santa Sede nutre nei confronti della politica italiana e nel prossimo inquilino di Palazzo Chigi.

«Ho conosciuto due Presidenti italiani, di altissimo livello: Napolitano e l’attuale. Grandi. Poi gli altri politici non li conosco», queste le parole del Papa rilasciate ai giornalisti durante il viaggio di ritorno dal Kazakistan, ci può spiegare cosa significano?
«“Non li conosco” è affermazione biblica. Nella Bibbia il verbo “conoscere” (“Non conosco uomo” dice Maria all’angelo) descrive un connubio e una congiunzione, in questo caso per analogia tra Chiesa e politica, da cui Francesco invece rifugge. Il “non conosco” significa che non c’è predilezione, né accostamento, verso nessun partito. Se insomma qualcuno avesse pensato che il Papa fosse “preso” – ecco il significato biblico di conoscere – dalla politica italiana, Il Papa ribadisce che non è la sua priorità, pur conoscendo, e riconoscendo, naturalmente, i volti e i nomi dei politici. Ecco il senso del “non conoscere”. Infatti, proprio nel momento in cui afferma di non conoscere nessun politico e prende le distanze dai partiti, Bergoglio mostra viceversa di conoscere assai bene il problema di fondo della politica italiana».

 «E poi ho fatto una domanda soltanto a uno dei miei collaboratori: “Dimmi, quanti governi ha avuto l’Italia in questo secolo?”. E mi ha detto: “20”. Questa è la mia risposta», ha ripetuto per due volte, da Est e da Ovest, tornando dal Canada e dal Kazakistan.
«Esatto. È il paradosso di cui parlavo: Bergoglio ama gli ossimori e i paradossi. Da un lato registriamo con parole nette (non li conosco) il distacco dai politici, come se non li conoscesse. Dall’altro una diagnosi severa e una prognosi riservata sulla politica, come chi la studia e conosce molto bene. Da una parte non si fa strumentalizzare a fini elettorali, rifiutando di addossare all’uno o all’altro la responsabilità congiunturale della crisi di governo e del voto anticipato. Dall’altro mette il dito nella piaga e analizza un difetto strutturale: “20 governi in vent’anni”. Mai un Papa si era espresso in modo così esplicito sul sistema politico e sulla necessità, implicita, d’intraprendere delle riforme istituzionali per dare stabilità e continuità, tenuta e durata ai governi. Riforme che sappiamo possono essere sostanzialmente – su questo invece non si è sbilanciato – di due tipi: riforma costituzionale, in senso presidenziale, oppure riforma, per legge ordinaria, della legge elettorale, mantenendo il primato del parlamento ma garantendo il consolidamento dell’esecutivo. A prima vista era sembrato che optasse per il presidenzialismo: del resto, guadando alla sua provenienza geografica, sappiamo che il panorama istituzionale sudamericano non contempla forme di governo parlamentari, ma presidenziali. Poi però Francesco ha subito ricordato di avere conosciuto, da capo di stato che non intrattiene rapporti con i leader di partito ma con gli altri capi di stato, Giorgio Napolitano e Sergio Matterella. E ne ha esaltato la figura e statura di statisti. Individuando e indicando nella Presidenza della Repubblica la istituzione che garantisce unità ed equilibrio tra i poteri. E in questo caso non è sembrato propendere per il presidenzialismo, bensì per un ruolo superpartes del Capo dello Stato, principio attivo di unità nazionale e non leader, divisivo, di una maggioranza di governo. La Chiesa misura il proprio agire sul metro dell’eternità ed è conseguente che anche Oltretevere si rapporti preferenzialmente con la istituzione che ha un’aspettativa di vita di almeno sette anni, quattordici nel caso di Mattarella, e non quattordici mesi come i governi che si succedono a Palazzo Chigi.

Piero Schiavazzi, Vaticanista e docente di Geopolitica Vaticana alla Link Campus University

«Se i governi si cambiano così, sono tante le domande da fare. Perché oggi essere politico, un grande politico, è una strada difficile», sembra un riferimento a Mario Draghi.
«Il Papa ritiene che Draghi sia un politico a tutto tondo, non solo un banchiere prestato alla politica. Non solo un uomo di conti, ma uno che conta e ha contato, come nessun altro italiano in tempi recenti, sul piano internazionale. Non si può pretendere che un Papa gesuita non faccia il tifo per un ex allievo del collegio Massimo, lo storico liceo romano dei Gesuiti. Draghi oltretutto è il banchiere che dall’Eurotower di Francoforte – mentre Bergoglio dalla finestra dell’Angelus annunciava la misericordia di un Dio che si fa carico dei peccati dell’uomo – ha lanciato, in un perfetto parallelismo, il Quantitative Easing, per rilevare anche i titoli più tossici. Il denaro e il perdono non sono mai stati così sincronici e sintonici. Per restituire al mondo la fiducia, su ambedue i piani, spirituale e materiale, che a detta degli economisti non sono mai del tutto separati, ma in qualche modo collegati».

Bergoglio nel mondo, tra destra e sinistra.
«È sotto gli occhi di tutti che le posizioni del Papa e della Destra italiana sulla questione dei migranti sono divaricate. Se invece spostiamo lo sguardo sull’Europa, notiamo una convergenza di fatto. Entrambi propendono infatti per un modello confederativo e bolivariano, che salvaguardi la sovranità degli Stati (occorre una “sana disunione”, ha detto all’indomani della Brexit, per non rischiare la frantumazione tout court e mandare tutto in frantumi) a differenza del modello federalista, caro a Wojtyla, che sognava gli Stati Uniti d’Europa. Basterebbe questa considerazione a mostrare, e dimostrare, quanto sia ricca e complessa la personalità di Francesco, non ascrivibile di per sé al programma di nessuna forza politica italiana. Le sue posizioni sull’Europa non sono così distanti da quelle della Destra, mentre sui migranti c’è forte prossimità con la Sinistra. Il Papa da leader globale persegue una traiettoria universale, che a volte incrocia quella dell’Italia, altre no. Nella sua “lunga marcia” verso la Cina, per esempio, Francesco si è trovato allineato con il governo gialloverde, nel 2019, al tempo della visita in Italia di Xi Jinping e della Silk and Road Initiative, alla quale l’Italia ha aderito a differenza dei partner europei. Così come sull’Ucraina il Pontefice è certamente meno atlantista dell’allievo Draghi, il quale non avrebbe mai accusato la Nato di “abbaiare” alle porte della Russia. Draghi è atlantista al 100% senza se e senza ma, Bergoglio no. Anche se è stato chiaro e perentorio, in tre Angelus successivi del mese di marzo, nel definire quella di Putin una guerra di aggressione e di invasione. Altro che operazione militare speciale. Il Vaticano, al di là delle diverse collocazioni geopolitiche (Draghi atlantista, il Papa no, né potrebbe esserlo), tiene in altissima considerazione il punto di vista del Presidente del Consiglio uscente: si pensi a come il Papa, in aereo, rivolto ai giornalisti, ha recentemente corretto e stemperato la posizione sulle armi (non escludo che la richiesta in tal senso sia venuta discretamente, delicatamente proprio da Palazzo Chigi) precisando che un popolo ha diritto di difendersi e ricevere armi dagli alleati, se aggredito. Purché il commercio delle armi stesse non prenda il sopravvento e diventi, sic et simpliciter, il motivo ispiratore delle guerre».

Giorgia Meloni, la favorita negli ultimi sondaggi.
«Se andate a rivedervi le pagine del libro “Io sono Giorgia” dedicate a Bergoglio, si legge: “Benché sia cattolica e non mi sia mai permessa di criticare un pontefice, ammetto che non sempre ho compreso Papa Francesco…spero un giorno di avere il privilegio di poter parlare con lui, perché sono certa che i suoi occhi grandi e le sue parole dirette riusciranno a dare un senso a quello che non comprendo”. Parole che manifestano una consapevolezza di fondo: l’Italia elettoralmente si potrà pure conquistare senza il sostegno della Chiesa, ma non si governa senza di essa. Il valore aggiunto del Vaticano per la visibilità internazionale del Paese e, aggiungo, per la sua coesione interna, in un momento in cui si approfondisce il solco tra Nord e Sud, è imprescindibile e incommensurabile. L’Italia è nonostante tutto la nazione più coesa tra tutte (pensate alla Scozia, che chiede il referendum e la secessione, pensate alla Spagna e alla Catalogna). E questo si deve anche al ruolo del papato, che al tempo del Risorgimento era il principale ostacolo all’unità ma successivamente, dal Concordato in poi, esercita un vero e proprio “ministero dell’unità”».