Esteri

Dietro la strage in chiesa in Nigeria, un intreccio di povertà, tensioni, violenza

09
Giugno 2022
Di Giampiero Gramaglia

Dietro la strage in Nigeria domenica scorsa nella Chiesa di Owo, c’è un intreccio di cause e concause difficile da analizzare e impossibili da tenere l’una distinta dall’altra: l’attacco in chiesa, durante una funzione, mette in evidenza la componente religiosa ed evoca una persecuzione dei cristiani; ma ci sono pure tensioni politiche, economiche, etniche; e persino una reminiscenza del passaggio dal paleolitico al mesolitico, della antichissima contrapposizione e quindi inevitabile conflittualità tra pastori nomadi e agricoltori stanziali, che nel tempo è sfociata in una relazione quasi simbiotica di scambio con il mondo urbano, ma che talora riaffiora nel contrasto tra razzie e servitù.

La tela di fondo è il dramma dell’Africa. Distratto dalla guerra in Ucraina, il mondo sta prestando ancora meno attenzione del solito a un continente che registra esodi di massa e milioni di persone, la cui vita è a rischio per carestie e conflitti. Un rapporto di un’organizzazione non governativa norvegese fa l’elenco dei Paesi dalle crisi più dimenticate: i primi dieci sono tutti africani – non era mai successo -; e la Nigeria, il Paese più popoloso del continente, con 190 milioni di abitanti, nonostante sia ricchissimo di petrolio e risorse naturali, vi figura all’ottavo posto (davanti ci sono Repubblica democratica del Congo, Burkina Faso, Camerun, Sud Sudan, Ciad, Mali e Sudan).

La strage della Pentecoste in Nigeria, nella diocesi di Ondo, non è stata rivendicata: si pensa a Boko Haram; o ai pastori Fulani. «Il massacro di Owo non è soltanto un attacco ai cristiani ma è probabilmente un attacco contro lo Stato e contro le sue reti debolissime e corrotte – ha spiegato all’ANSA Alessandro Monteduro, direttore della fondazione pontificia Aiuto alla Chiesa che Soffre -. Ci si può trovare dinnanzi a una saldatura fra componenti estremiste della comunità dei Fulani e organizzazioni terroristiche operanti al Nord, specie Boko Haram. Sarebbe un quadro drammatico per la Nigeria, che l’Occidente non potrebbe ignorare».

Tragica povertà, pastori/agricoltori, etnie rivali, religioni diverse, integralismo e terrorismo, violenza endemica, competizioni politiche, c’è tutto questo nel background della strage di Owo, città del Sud del Paese: oltre venti vittime, una cinquantina di feriti – ma tra fonti ufficiali e testimoni continua a esserci uno iato -.

Il giorno prima della strage in Nigeria, era passata quasi inosservata la notizia che un uomo, un vigilante, era stato bruciato vivo da una folla di musulmani nella capitale, Abuja, dopo una lite con un leader religioso che gli aveva aizzato contro i suoi seguaci. All’origine del diverbio, un caso di blasfemia – pare -. E, dopo la strage, s’è saputo dell’ennesimo rapimento di un sacerdote cattolico, padre Christopher Onotu, parroco a Obangede, nell’area di Okehi, nello stato di Kogi.

In Nigeria, è anche stagione elettorale. I partiti si preparano alle presidenziali del febbraio 2023, quando si tratterà di scegliere il successore del capo dello Stato attuale Muhammadu Buhari, che non può essere confermato. Il partito di governo ha appena scelto il suo candidato: è Bola Tinubi, 70 anni, ex governatore dello stato di Lagos; sfiderà l’ex vice presidente Atiku Abubakar, 75 anni, influente politico del nord scelto dal partito di opposizione. Entrambi sono musulmani, come pure Buhari.

Un’organizzazione socio-politica etnica locale, Afenifere, che rappresenta gli Yoruba, punta il dito contro l’etnia di pastori nomadi Fulani: la strage sarebbe stata un attacco al governatore dello Stato di Ondo, Rotimi Akeredolu, “per il suo incrollabile sostegno alla sicurezza nella terra yoruba”, specie “al rigoroso rispetto della legge sul pascolo aperto”.

I fulani sono un’etnia nomade dell’Africa occidentale, dedita a pastorizia e commercio: musulmani, sono spesso in sanguinosa lotta con le popolazioni locali, specie cristiane. Diffusi dalla Mauritania al Camerun, contano complessivamente fino a 19 milioni di persone.

Gli scontri con i Fulani sono da anni uno dei maggiori problemi di sicurezza della Nigeria assieme agli attacchi, attentati e rapimenti del gruppo terroristico islamista Boko Haram. In passato vi sono stati massacri con un numero anche maggiore di vittime in violenze tra Fulani e coltivatori stanziali. Il fenomeno è ingigantito dalla scarsità di terra fertile: i cambiamenti climatici e la desertificazione della Nigeria settentrionale spoingono i pastori nomadi a cercare foraggio per il loro bestiame sempre più verso sud, devastando i campi degli agricoltori.

La sovrappopolazione inasprisce la competizione per il controllo dei terreni. Per decenni, mandriani e agricoltori avevano convissuto in pace. Già negli Anni Sessanta, però, c’erano stati attriti e violenze: il governo aveva introdotto una legislazione per garantire percorsi di transumanza che rispettassero le coltivazioni.

Dopo la strage della Pentecoste, la Conferenza episcopale cattolica della Nigeria esorta le autorità ad «intensificare gli sforzi per dare la caccia agli aggressori della chiesa di San Francesco Saverio». Per i vescovi, «in caso contrario si accelererà la caduta del Paese nell’anarchia». A Vatican News, suor Agnes Adeluyi, una religiosa infermiera che cura i feriti di Owo, dice: «Dobbiamo sempre sapere che i Fulani ci circondano nella foresta e possono attaccarci da un momento all’altro. Siamo terrorizzati ma dobbiamo perseverare. Abbiamo tutti paura, perché non il governo non ci assicura protezione. Ora, abbiamo anche paura di andare in chiesa».

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