Esteri

Cosa sta succedendo in Niger e perché è importante

19
Marzo 2024
Di Paolo Bozzacchi

Il Niger è un paese africano importante. Non soltanto per l’uranio, i fosfati, l’oro e il petrolio nel sottosuolo. Ma anche perché è da considerarsi un avamposto strategico per la lotta al terrorismo jihadista nella precaria regione del Sahel. A fine luglio ha avuto successo un colpo di Stato, poi l’espulsione dell’Ambasciatore francese e a dicembre la sospensione degli accordi di difesa con l’UE. Negli ultimi giorni la situazione si è aggravata, con la decisione della giunta militare al potere di sospendere “con effetto immediato” gli accordi di cooperazione militare con gli USA dichiarando “illegale” la presenza americana.

Il pressing del Pentagono
Washington sta prendendo tempo. Non ha ancora emesso l’ordine di ritiro delle truppe americane in Niger, e sta trattando con la giunta militare una exit strategy dall’empasse. L’obiettivo dell’Amministrazione Biden è arginare la penetrazione militare della Russia e dell’Iran nell’area. “Preoccupazione per crescenti legami” è stata espressa dalla vice portavoce del Pentagono Sabrina Singh. Dopo che il capo del Pentagono in Africa, generale Michael Langley, aveva avvertito il Senato USA che “un certo numero di altri Paesi nelle regioni del Maghreb e del Sahel sono sul punto di essere catturati in termini di influenza dalla Federazione Russa”.

La presenza USA in Niger 
Il Niger rappresenta per il Pentagono uno dei principali centri operativi in Africa. Secondo un recente rapporto della Casa Bianca presentato al Congresso a dicembre 2023 erano calati a 650 gli effettivi presenti dai 1100 pre-golpe. I militari USA gestiscono due basi aeree: la 101 (aeroporto di Niamey) e la 201 ad Agadez (nord del Paese). Quest’ultima prende di mira i combattenti dello Stato Islamico e del Jnim (Gruppo di sostegno all’Islam e ai Musulmani), affiliato ad al Qaeda. L’eventuale dipartita americana dal Niger lascerebbe campo libero alla Russia, già molto influente nei confinanti Mali e Burkina Faso.

La presenza militare italiana e la posizione del governo Meloni
In Niger restano al momento i militari italiani, presenti con la Missione bilaterale di supporto nella Repubblica nigerina (Misin), autorizzata nel 2018 dal Parlamento italiano che ha per obiettivo il contrasto dei traffici illegali e delle minacce alla sicurezza per la stabilizzazione dell’area, il rafforzamento del controllo del territorio da parte delle autorità locali e dei Paesi del G5 Sahel, oltre alla sorveglianza delle frontiere. La missione include anche Mauritania, Nigeria e Benin, con 350 effettivi e 13 mezzi terrestri. Lo scorso 9 marzo una delegazione italiana di alto livello guidata dal capo del Comando operativo di vertice interforze (Covi) generale Francesco Paolo Figliuolo e dal segretario generale della Farnesina, Riccardo Guariglia, ha concordato il riavvio dei corsi formativi a favore dell’esercito e della polizia nigerini. “Dietro precisi impegni sul rispetto del diritto umanitario internazionale e al fine di evitare pericolose penetrazioni di Paesi non democratici, come è avvenuto in Mali, in Niger sono continuate le attività in ambito Cooperazione Civile-Militare e quelle tecniche per ultimare la costruzione della base nazionale sita nel sedime aeroportuale di Niamey”, ha dichiarato il Ministro della Difesa, Guido Crosetto, durante un’audizione alle Commissioni Esteri e Difesa alla Camera. “L’Italia è pronta a riavviare la cooperazione bilaterale col Niger”, ha dichiarato al Senato il Ministro degli Esteri Antonio Tajani. “Un ritiro dal Sahel renderebbe la regione più ostile e non certo più favorevole ai nostri ingressi strategici. Ribadiamo l’opportunità di riprendere il dialogo con le autorità de facto nigerine, prospettiva alla quale lavorano anche gli Stati Uniti”. Poi chiosa: “Nel contesto di instabilità del Sahel il futuro ruolo dell’Italia e dell’Unione Europea dipende dalla capacità di ridefinire la nostra strategia, salvaguardando i nostri interessi e valori”.

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