Economia

Si allarga la protesta antigoverno del sistema produttivo

10
Dicembre 2018
Di Redazione

 

In principio fu la Confindustria, sul piede di guerra contro le politiche economica e del lavoro del costituendo governo penta-leghista ancor prima che il presidente Giuseppe Conte prestasse formale giuramento al Quirinale. Quindi è toccato ai Sì-Tav, protagonisti di un’imponente manifestazione a Torino lo scorso 10 novembre che ha avuto il merito di alimentare il dibattito sulle grandi opere e di rendere plastica la presenza di quanti, in Italia, non guardano con pregiudizievole ostracismo alla realizzazione di infrastrutture reputate strategiche per lo sviluppo del paese. Da ultimo è arrivata la Confartigianato, che ha indetto una grande manifestazione nazionale a Milano il 13 dicembre per affermare istanze e proposte del mondo dell’artigianato e delle micro, piccole e medie imprese (Pmi) in antitesi alle ricette dell’esecutivo. M5s e Lega avrebbero più di un motivo per temere la protesta dei “piccoli”, autentico e storico traino dell’economia italiana con un giro d’affari di 871 miliardi di euro nel 2017 e oltre 4,4 milioni di occupati. Nel complesso, rappresentano la quasi totalità – ovvero tra il 99,4% e il 99,9% – del sistema produttivo del paese. Alla base della mobilitazione c’è il timore che la legge di Bilancio in via di faticoso perfezionamento fra Palazzo Chigi e dintorni potrà ben poco per preparare il paese alla recessione che dovrebbe colpire l’economia internazionale fra non più tardi di un paio d’anni, soprattutto quando il focus della manovra è più sulla redistribuzione della ricchezza e non sullo sviluppo e la crescita del prodotto.

Rallentamenti economici sono segnalati con frequenza preoccupante un po' ovunque fra l’Europa e l’Asia, mentre non è certo un mistero il fatto che gli Stati Uniti siano al culmine del loro ciclo economico e che presto o tardi dovranno anch’essi frenare. In settimana, ad esempio, il calo dei rendimenti sui titoli del Tesoro Usa a 5 anni sotto quelli a 3 anni è stato interpretato da svariati investitori globali come il segno premonitore della bufera in arrivo: l’ultima volta che ciò accadde era infatti il 2007. Non è dunque un momento facile per il governo del cambiamento. Se lo strappo con il mondo degli artigiani e delle Pmi può esser forse ricucito con l’adozione di c.d. misure a basso costo e alto impatto (deducibilità dell’Imu sui capannoni, abolizione del sistema sui rifiuti, riforma tariffe Inail e revoca del Codice degli appalti), nelle ultime ore si è infiammato un altro fronte di protesta. È la rivolta immediata, generale e trasversale dell’intero settore automobilistico tricolore contro le nuove imposte pensate dal M5s per incentivare l’acquisto di auto elettriche e penalizzare gli altri veicoli. Mossa più che condivisibile nei suoi principi ispiratori (favorire l’innovazione e tutelare l’ambiente), ma dagli effetti pratici devastanti. C’è chi l’ha prontamente ribattezzata una “tassa Robin Hood alla rovescia” in quanto rea di finanziare l’acquisto di costose autovetture ibride o elettriche mediante un’imposta universale che colpirebbe per primi i ceti meno abbienti. Senza contarne l’impatto depressivo sull’industria automobilistica nazionale e il beneficio garantito ai produttori americani, francesi, tedeschi, nipponici e financo cinesi.

 

Alberto De Sanctis

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