Economia

Porti italiani, ricchezza bloccata: «Così il Sud può diventare un motore economico»

15
Agosto 2025
Di Paolo Bozzacchi

Nonostante un potenziale stimato in 350 miliardi di euro, i porti italiani — e in particolare quelli del Sud — restano in gran parte sottoutilizzati. Alessandro Ferrari, direttore di Assiterminal, analizza cause e opportunità di un sistema logistico strategico, frenato da infrastrutture carenti, governance incerta e regole complesse. Ma i margini per rilanciare ci sono, a partire dalla transizione energetica e dal rilancio dell’intermodalità.

Qual è la potenzialità economica inespressa dai porti italiani e in particolare da quelli del Sud?
«Negli ultimi 25 anni la nostra capacità portuale è rimasta sottoutilizzata. Il Piano Nazionale della Portualità e della Logistica già nel 2015 misurava la capacità italiana tra i 20 e i 30 milioni di TEU (container standard). Oggi movimentiamo circa 11 milioni di container e 70 milioni di passeggeri, togliendo dalle strade più di 2.5 milioni di camion grazie ai traghetti, che superano i container in termini di volumi di merci. Le nostre infrastrutture sono rimaste quasi inalterate, fatta eccezione per gli investimenti a Trieste, la darsena Europa in Toscana e le progettualità nei porti liguri. Non solo. Il 40% delle merci che arrivano in Italia via mare transitano e vanno altrove (transhipment); Gioia Tauro è leader incontrastato in questo tipo di attività. Il contributo dei porti italiani alla crescita del Pil è difficilmente misurabile, ma il valore economico si attesta attorno ai 350 miliardi di euro».

Quali sono le criticità principali dei porti del Sud?
«Il sistema produttivo dei porti è sostanzialmente fermo in Italia, perché l’80% delle merci si ferma nel nostro Paese. La causa è nei costi proibitivi di trasporto via terra delle merci, principalmente dovuta alla conformazione dell’Italia, protetta da Alpi e Dolomiti. Portare un container fuori da Genova costa 4-5 volte in più che a Rotterdam. Perciò i player che operano nel Mediterraneo hanno diversificato investendo sui più rapidi traghetti. In Italia oggi abbiamo le flotte di traghetti più evolute a livello mondiale con la leadership del Gruppo Grimaldi. Il principale player del mercato logistico mondiale, MSC, ha concentrato il trasporto di container su Gioia Tauro e un’altra decina di terminal di proprietà o compartecipati, acquisito Grandi Navi Veloci, investendo molto sui traghetti, oltre che sui trasporti terrestri, diversificando».

Qual è il sentiment del settore portuale sui dazi USA in arrivo?
«È prematuro fare previsioni sensate. Livorno è il porto italiano che più esporta merci verso gli Stati Uniti. E non è ancora in grado di fare proiezioni nemmeno su ottobre; dipenderà da quali saranno le filiere più impattate. Sui dazi la campagna di comunicazione crea eccessiva preoccupazione. L’esempio della crisi nel Mar Rosso insegna: si temeva un impatto devastante, poi durato appena due mesi. I porti italiani servono soprattutto il mercato interno, quindi in qualche modo le merci continueranno ad arrivare».

Di cosa hanno più bisogno i porti del Sud in questa fase?
«Intermodalità, cioè migliori infrastrutture. I porti pugliesi o calabresi, ad esempio, vanno meglio connessi ai centri di smistamento della produzione, che in Italia si trovano al Nord-NordEst. Altrimenti serviranno solo il mercato interno, a non più di 200 chilometri dallo sbarco. Dove non c’è produzione industriale la merce non va. A monte c’è grande bisogno di governance stabile. Solo il porto di Genova su 16 realtà ha un Presidente nominato tale, tutti gli altri sono Commissari. Inoltre ci sono autorità portuali ancora da designare: Palermo, Sardegna e Trieste, oltre a Catania e Ancona in scadenza nel 2026. Questa situazione blocca l’evoluzione delle strutture. Maggiore chiarezza normativa aiuterebbe, perché ancora si sovrappongono Enti e Istituzioni e permangono modelli operativi molto diversi. Questo genera dannosa competitività interna che non giova al sistema Italia. L’idea del Ministero del Mare è un ottimo segnale, ma deve rappresentare l’inizio di un percorso. Nel Mediterraneo possiamo guidare il mercato, non mancano le professionalità e gli spazi. Ma bisogna snellire le regole. Per sdoganare un container in Italia ci vogliono 3-4 giorni, in Spagna solo 24 ore. Altro tema da affrontare è la transizione energetica: alcuni porti del Sud (Taranto, Augusta, Brindisi) stanno investendo in hub funzionali all’eolico offshore. Ma anche solare e idrogeno sono reali opportunità. Da considerare in questo senso la caratteristica italiana che i porti incidono direttamente sui tessuti urbani. Perciò semplificando la parte amministrativa e agevolando di più gli investimenti privati, si potrebbero creare nei porti delle centrali di produzione energetica, che alimenterebbero le città».