Economia

Cgia, il gettito fiscale ha superato quello del 2021 nei primi 10 mesi. Sugli extraprofitti è stato flop

23
Dicembre 2022
Di Giuliana Mastri

Non è sempre vero che le casse dello Stato languono. Nei primi 10 mesi del 2022, nonostante la pandemia, la famigerata crescita insoddisfacente e l’alta evasione, i versamenti fiscali accertati sono di 57 miliardi di euro maggiori sullo stesso periodo del 2021. La somma è destinata a salire con le scadenze fiscali di novembre e dicembre, come sostiene l’Ufficio studi della Cgia. Tre le cause dell’extragettito: in primis l’inflazione, che ha fatto salire le imposte indirette, oltre al miglioramento economicoo-ccupazionale, grazie al quale sono salite quelle dirette. Altro motivo lo stop alle sospensioni dei pagamenti nel 2020-2021, introdotti per la pandemia. La Nadef (La Nota di aggiornamento al Documento di Economia e Finanza) prevede un gettito tributario a quota 568,4 mld (+52,2% rispetto a 20 anni fa).

«Oltre a queste tre specificità – dichiara l’Istituto di Mestre –, va altresì considerato che a partire da marzo di quest’anno le famiglie italiane percepiscono l’assegno unico, misura che ha sostituito le “vecchie” detrazioni per i figli a carico. Questa novità (a parità di condizioni) ha delle evidenti implicazioni sul calcolo della pressione fiscale. Se le detrazioni – prosegue Cgia – riducevano l’Irpef da versare al fisco, la loro abolizione ha incrementato il gettito fiscale complessivo annuo di circa 8,2 miliardi di euro. Ricordiamo che, ora, le risorse per erogare l’assegno unico vengono contabilizzate nel bilancio statale come uscite». E dalle rilevazioni della Cgia pare che la somma complessiva prima coinvolta dalle detrazioni, sempre intorno agli 8 miliardi, sia stata ampiamente ricoperta.

Flop sugli extraprofitti

Con la tassa sugli extraprofitti applicata alle imprese energetiche dal Governo Draghi, nel 2022 l’erario doveva incassare complessivamente 10,5 miliardi di euro. «Dopo il saldo del 30 novembre scorso, invece, nelle casse dello Stato sono arrivati solo 2,7 miliardi di euro. Pertanto, tra i 57 incassati provvisoriamente in più quest’anno mancano sicuramente all’appello altri 7,8 miliardi di euro», sottolinea l’Ufficio Studi.

Questo il quadro. Sembra strano, non lo è

Se l’inflazione ha un pregio che la teoria economica non ha mai smentito, è la capacità di aumentare la liquidità e di far scendere il debito pubblico. Certo, si tratta, per definizione, di valori “nominali” e non “reali”, siccome le entità vanno rapportate al costo dei beni nel dato periodo, ma troverete certamente studiosi pronti a dirvi che è meglio una moderata inflazione, piuttosto che la deflazione, sintomo di un ciclo pressoché fermo. L’Italia, con un’inflazione all’11,8% a novembre, è molto provata ma tuttavia non rivive gli scenari straordinari degli anni ’70. Se la sofferenza sociale si fa sentire, è perché non vi è ancora una sufficiente indicizzazione degli stipendi ai prezzi. Ora il nuovo governo tenterà di mantenere l’Italia su questi binari, pur sapendo che la crescita del Pil annuo nel 2023 sarà di gran lunga minore (+0,4% circa contro un atteso 3,9% del 2022). Se l’inflazione scenderà, anche questo avrà i suoi effetti positivi, ma è fondamentale che scenda sui prodotti energetici se vogliamo che il sistema riabbia linfa. Nelle ipotesi più pessimistiche, il salvagente saranno gli investimenti pubblici del Pnrr e le agevolazioni. Senza sottovalutare l’impatto rivitalizzante che ha portato, stando a molte rilevazioni, al di là dei difetti, la misura del Superbonus, per il quale il governo è concentrato a sbloccare i crediti incagliati.