Cultura

Olimpiadi 2024: la guerra allunga le mani

13
Febbraio 2023
Di Flavia Iannilli

«Gareggiamo e non senza successo con le nazioni borghesi sul piano economico e politico. Lo facciamo ovunque ciò sia possibile. Perché non farlo anche nello sport?» Stalin. «È nell’interesse nazionale recuperare la superiorità olimpionica, per dare una volta ancora al mondo la prova tangibile della nostra intima forza e vitalità» Kennedy.

Dichiarazioni con la stessa visione che arrivano da poli opposti. A quanto pare rompere la ruota, anche qui, non risulta facile.

Arriva da Vilnius la notizia battuta da Reuters pochi giorni fa relativa alle Olimpiadi di Parigi 2024, “si inasprisce la polemica sulle Olimpiadi: 35 Paesi chiedono il divieto per Russia e Bielorussia”. Una sostanziosa delegazione di cui fanno parte anche Stati Uniti, Germania e Australia chiederà che gli atleti russi e bielorussi non possano partecipare alle prossime Olimpiadi. La mossa decisiva toccherà al CIO (Comitato Internazionale Olimpico) al quale spetta l’arduo compito di evitare che la guerra allunghi le mani sull’evento sportivo.

Sfida tutt’altro che semplice soprattutto quando si parla di un gioco a somma zero. Alcuni pensano che farli partecipare sotto una bandiera neutrale sia un giusto compromesso; altri credono che non sarebbe sufficiente poiché significherebbe tenere la situazione invariata dallo scandalo del doping del 2018.

Nel prendere una posizione sicuramente qualcuno verrà penalizzato e la delegazione in questione ritiene che Putin debba essere la “vittima”. Ma quanto incide una scelta del genere? Potrebbe sembrare una banalità in realtà, come si evince dalle parole di Stalin e Kennedy, lo sport è una componente della politica internazionale a tutti gli effetti.

Le Olimpiadi ne sono un esempio lapalissiano dall’era dei tempi. Non a caso Hitler tentò in tutti modi di accaparrarsi la vetrina olimpionica sotto consiglio spassionato di Goebbels. Impossibile ignorare che il braccio destro del Führer era a capo della propaganda nazista, motivo per cui utilizzò le Olimpiadi di Berlino del 1936 per poter affermare la razza ariana. Anno in cui la Germania si posizionò prima nel palmares con un totale di 101 medaglie. Un occhio poco attento potrebbe pensare ad una vittoria schiacciante, in realtà i traguardi tedeschi vennero messi in ombra dalle 4 medaglie d’oro di Jesse Owens. L’atleta americano di colore conquistò il gradino più alto del podio nella regina degli sport olimpici: 100 metri, salto in lungo, 200 metri e staffetta 4×100.

Durante la guerra fredda lo sport divenne uno strumento frequentemente utilizzato nella politica estera, sfaccettatura che in molti credono non sia stata mai abbandonata. Così la guerra delle sfere di influenza si combatteva su campi da gioco facilmente riconoscibili. La vittoria dell’Urss sugli Stati Uniti nel basket durante le Olimpiadi di Monaco nel 1972 fece il giro del mondo; quei 3 secondi che cambiarono la storia. Mostrando così i tre volti dello sport: unione, divisione e affermazione.

L’evoluzione delle grandi competizioni sportive non si fermò, tanto da arrivare ai boicottaggi. Ben presto si comprese che non partecipare significava dare meno rilevanza all’evento e al paese ospitante. Fu il caso delle Olimpiadi di Montreal nel 1976, Mosca 1980 e Los Angeles 1984; conosciute dai più esperti come i sabotaggi di massa.

Dimostrazioni che non si limitarono alle gare olimpiche. Il mondiale di scacchi del 1972 disputato a Reykjavik, capitale scelta per la sua neutralità, fece da ennesima cassa da risonanza. La sfida tra Boris Spasskij (URSS) e Bobby Fischer (USA) aveva gli occhi puntati di tutto il mondo, uno scontro che rifletteva tutti i grandi temi dell’epoca. «Questa cosa tra me e Spassky divenne quasi una bomba» chiosò Fischer. Gli Stati Uniti portarono a casa la vittoria e Bobby riuscì a spezzare i 24 anni di dominio di Boris.

La storia parla chiaro: le guerre si combattono anche negli stadi, nei palazzetti, nei campi di terra rossa, nelle piscine e sulla neve. Nonostante lo sport sia competizione, si può contemporaneamente dichiarare che i luoghi di scontro sono teatri di incontro tra chi si trova ad essere antagonista nello scacchiere internazionale. La candidatura congiunta di Corea del Nord e Corea del Sud per ospitare le Olimpiadi del 2032 lancia un messaggio di forte impatto politico.

Tuttavia molti dittatori del passato hanno fatto leva su questo settore per aumentare il proprio consenso e non è un mistero che Putin sia un “fanatico” dello sport. Alla luce di quanto accaduto precedentemente, quanto può essere realmente utile escludere? A cosa hanno portato i grandi boicottaggi? Che valore si dà a questo veicolo? Perché lo sport ha assunto una valenza simbolica sempre più preponderante nel tempo.

Lo sport dona un’immagine al paese che spesso si riflette come potere politico. Basti fare riferimento al riscatto di Tamberi e Jacobs che hanno portato l’Italia sotto i grandi riflettori insieme alla vittoria dell’Europeo di calcio del 2021.

E per portare la nazionale o la maglia azzurra sul gradino più alto servono gli atleti. Quelli che devono passare spesso una selezione interna per poter entrare a far parte di un’élite e quelli che devono superare le qualificazioni internazionali. Gli stessi atleti che diventano un simbolo, quelli che sentono il peso e l’orgoglio insieme. C’è chi pensa che sarebbe comunque una competizione impari come la guerra che ci bussa alla porta di servizio ormai da un anno. E chi crede che per colpire Putin ci sia bisogno dell’esclusione degli atleti russi e bielorussi dalle competizioni.

Probabilmente la stessa spaccatura di chi ricorderà sempre la vittoria della Germania nelle Olimpiadi del 1936 e chi preferirà portare alla mente Jesse Owens e le sue 4 medaglie d’oro. Ad ogni modo il CIO non ha un compito facile, sicuramente sarà una scelta che entrerà a far parte della storia.

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