Cultura

Dai faraoni a Churchill, i gatti per una controstoria del potere

17
Febbraio 2023
Di Marco Cossu

Paragonando le sequenze del DNA di epoche diverse, uno studio di non troppi anni fa dell’Università di Leuven ha dimostrato che non fu il gatto ad essere addomesticato dall’uomo ma il gatto a concedersi liberamente all’adozione da parte dell’uomo. Secondo quanto dice la scienza non ci sarebbe nulla di diverso dal punto di vista genetico tra un gatto vissuto 10mila anni fa e uno dei giorni nostri, segno che la vicinanza del custode del Creato poco ha potuto fare a dispetto di altre specie sull’essenza genetica dei felini. Incarnazione dell’indipendenza, il gatto ha compiuto ad un certo punto la liberalissima scelta di oltrepassare il limes per infilarsi in un insediamento di capanne della Mezzaluna Fertile alla ricerca di topi succulenti attirati prima e ingrassati poi dalle derrate di cibo accumulate dagli umani. Non sarebbe quindi stato l’uomo – demiurgo di combinazioni genetiche che hanno inciso solo sull’aspetto esteriore – a rendere possibile l’interazione tra le due specie ma un millenario e costante esercizio di elegante ruffianeria già codificato nel DNA di gatti affamati. Scomodare la scienza è un esercizio retorico, potrebbe essere infatti sufficiente una semplice osservazione empirica a ritroso per farci notare che i gatti rappresentano l’eccezione (per dirla schmittianamente) il sovvertimento dei rapporti di potere tra uomo e resto del regno animalia, dov’è il felino che impone i temi e i contenuti della relazione, non l’erede di Adamo ed Eva. Accettato che il gatto non risponde agli ordini (a meno che non sia ad esclusivo vantaggio) il sovvertimento delle gerarchie di potere appare più nitido se riguardiamo la storia dell’umanità – anch’essa storia di comandanti e comandati – e soprattutto ai detentori del potere, sovrani, re, profeti. Poco e nulla esercitano nei confronti di un gatto che si impone a colpi di fusa.

Per gli antici egizi era Bastet, la dea con il viso felino venerata a partire dalla II dinastia, prima personificazione della guerra poi divinità protettrice patrona della fertilità, della maternità e della vita domestica. Sempre in Egitto a questi animali erano dedicati con cura estrema processi di mummificazione complessi, quanto e come illustrissimi uomini. Una messa in discussione delle gerarchie di cui fu vittima, secondo quando riporta la tradizione islamica, anche Maometto. Un hadit testimonia che il Profeta, dovendosi vestire di tutta fretta per andare a pregare, trovò Muezza addormentata sull’abito da preghiera. Pur di non dare disturbo alla gatta tagliò con le forbici la manica sulla quale ronfava, prendendo per lui il resto della veste. Un valore quello del gatto riconosciuto più volte nella cultura islamica a cui associa l’immagine di cura e pulizia, a differenza di quella cristiana che ha relegato ai felini in una dimensione oscura. Spostandoci a tempi più recenti Caterina II di Russia elevò i gatti al rango di “Guardiani delle pinacoteche”, un ruolo ancora oggi riconosciuto, considerando che l’Ermitage di San Pietroburgo ne accoglie ancora circa sessanta. E la lista dei dominanti diventati dominati è ovviamente molto più lunga, in questa si legge il nome del presidente Clinton, sottoposto di Socks, il First Cat bianco e nero morto alla veneranda età di 18 anni, ritratto in diverse foto mentre attraversava lo Studio Ovale. Un fascino quello per i gatti di cui è stato vittima anche l’erede di Pietro, Benedetto XVI, che in vita non ha mai nascosto il suo amore per i felini, scegliendo come compagni Cortesina, Zorro e Contessa degli ultimi giorni terreni al convento Mater Ecclesiae. Amante dei gatti pure il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella che ha tributato alle arti i suoi Cimabue, Dante e Boccaccio. L’amore per i gatti non ha risparmiato nemmeno Vittorio Feltri che qualche anno fa raccontò in un editoriale su Libero il dolore per Vècio: «quando si ammalò e morì piansi a lungo, il dolore fu così acuto da superare quello patito per la perdita di mio padre, avvenuta anni prima. Mi vergogno quasi a confessarlo, eppure è così». E in questa controstoria del potere dove il princeps perde l’equilibrio sul trono a causa delle fusa non può mancare l’esempio che basterebbe a far reggere da sola tutta la tesi, il number 10 di Downing Street dove dal 1929 domina lo Chief Mouser to the Cabinet Office (ora Larry), che a differenza degli inquilini resterà al potere come avviene per i re, sino alla morte. La fine di un potere non è per i gatti necessariamente la fine della vita. Come per una divinità egizia è il caso Jock, il gatto rosso che accompagnò Churchill nei suoi ultimi anni di vita nella tenuta di Chartwell sino a sedere nel letto dello statista durante l’ultimo respiro. La villa di Churchill sarà ceduta dalla sua famiglia al National Trust nel 1966, una la condizione: ci fosse sempre un gatto rosso di nome Jock, con una macchia sul petto e quattro calzini bianchi ad abitare in una comoda residenza a Chartwell.