Ambiente
Cop30 in Amazzonia: cronaca di un insuccesso annunciato
Di Paolo Bozzacchi
Sul clima il tempo stringe. Bisogna fare presto, bene e soprattutto tutti insieme per rimettersi in carreggiata seriamente rispetto ai danni provocati dall’uomo al Pianeta. Ma la politica internazionale ha il suo peso: enorme in questa congiuntura globale fatta soprattutto di conflitti armati e commerciali, pesante crisi delle Organizzazioni internazionali come l’ONU e rifiorire di nazionalismi spinti.
Il recente ritiro USA dagli Accordi di Parigi sul clima – primo provvedimento dell’amministrazione Trump appena insediata – incide fortemente sul vertice brasiliano, così come la recentissima parziale marcia indietro UE sul Green Deal. Risultato? In Amazzonia sono arrivati la metà dei Capi di Stato rispetto alla Cop29 dello scorso anno. Evidente che la minestra che si sta cucinando in Brasile al vertice annuale ONU sia già riscaldata, prima di essere messa sul fuoco.
Il grande assente del vertice è Donald Trump stesso. E le parole del Segretario generale ONU, Antonio Guterres, suonano lontane: «Le potenze mondiali rimangono prigioniere degli interessi dei combustibili fossili invece di proteggere l’interesse pubblico». A poco sono serviti gli sforzi del Presidente del Brasile, Inàcio Lula da Silva che ha cercato di mobilitare fondi internazionali per fermare la distruzione in corso delle foreste pluviali tropicali e portare avanti le numerose promesse Cop non mantenute nei precedenti 29 vertici.
Cina, India e Stati Uniti non hanno nemmeno partecipato all’incontro preliminare che ha preceduto i negoziati sul clima in corso in Brasile. E a poco servirà il tentativo di Pechino di inviare emissari per eventualmente intestarsi i meriti degli accordi Cop30. I grandissimi se ne sono infischiati del fatto che la concentrazione di gas serra nell’atmosfera abbia raggiunto livelli record nel 2024 e continui ad aumentare quest’anno, stessa tendenza del calore degli oceani e del livello dei mari (fonte: Organizzazione meteorologica mondiale).
Rispetto a tutto questo la foresta pluviale polmone del mondo – per la sua capacità di assorbire grandi quantità di anidride carbonica – che negli ultimi 50 anni ha perso il 17% della sua superficie soffocata da incendi e disboscata per far posto ad allevamenti di bestiame ed estrazioni minerarie, fa quasi poca notizia.
Ancora Guterres: «Per evitare di arrivare a +2,5 gradi nel 2100 urgono soluzioni: trovare 1,3 trilioni di dollari l’anno per i Paesi meno sviluppati e già colpiti dalla crisi, arrivare a 125 miliardi di $ di fondi in 10 anni per salvare l’Amazzonia e altre foreste, dare spazio a soluzioni di mitigazione e adattamento, fermare sussidi e finanziamenti per le fonti fossili e infine ideare strumenti per tassare chi più inquina». Viva la sincerità. Ma è la cronaca di un insuccesso annunciato.





