Cultura

La tragedia della piccola Diana che ha sconvolto il paese

23
Luglio 2022
Di Gaia De Scalzi

Diana. È questo il nome della bimba di appena 16 mesi morta di stenti nel suo lettino perché abbandonata sola in casa per sei giorni, senza cibo, acqua e cure. Quando i soccorsi, avvisati dalla stessa donna che avrebbe dovuto occuparsi di lei, sono entrati hanno trovato il corpicino esanime, in quello stesso lettino da campo dov’è rimasta isolata per 144 ore. Il pannolino strappato e lanciato a terra e il biberon completamente vuoto. Nessuno dei vicini ha sentito Diana piangere mentre la madre Alessia era fuori con il nuovo compagno, ignaro di cosa stesse succedendo nell’appartamento di Ponte Lembro, dove la bimba lottava per sopravvivere. Chi conosceva Diana racconta della sua magrezza ma anche dei suoi sorrisi. Una bimba dolce che ancora non camminava, con una mamma altrettanto dolce che la portava a spasso nel passeggino. 

Sempre in queste ore emergono, anche, particolari che tratteggiano una donna evidentemente malata. Alessia raccontava di essere una psicologa infantile, capace quindi di comprendere i bisogni dei più piccoli. Eppure, quella ragazza madre di 37 anni, più di una volta aveva lasciato sua figlia in casa da sola per uscire con “uomini conosciuti su Tinder”. Sempre stando alle ricostruzioni, non era vero che in sua assenza la bambina veniva affidata alla nonna o alla babysitter (mai neppure intravista dal vicinato!). 

Troppi, però, in queste ore i dettagli: la nonna apparentemente morta per il covid ma che improvvisamente entra in scena con due buste davanti ai giornalisti appostati sotto l’appartamento di Ponte Lembro; l’ex marito che viveva nello stesso stabile dove abitava Alessia con Diana; il padre della piccola di cui nessuno sa nulla; il parto che sarebbe avvenuto nella casa dell’attuale compagno. Sta di fatto che nel quartiere tutti conoscono Alessia e la sua bambina ma nessuno, ancora una volta, riesce a immaginare un epilogo tanto tragico. L’unica che se lo aspetta è proprio Alessia, che durante l’interrogatorio ammette: “Sapevo che poteva andare così”. 

Storie come questa non vorremmo leggerle più. Storie apparentemente senza motivo e che ti lasciano con troppe domane e poche risposte. Com’è possibile che nessuno si sia mai fermato a parlare con questa mamma palesemente sola? Com’è possibile che la notoria curiosità dei vicini, quelli che ficcano il naso ovunque, stavolta non sia stata capace di evitare tutto ciò? Com’è possibile che il compagno, con cui Alessia (sempre stando alle ricostruzioni) si frequentava sin dalla nascita di Diana – tanto da aver permesso che il parto avvenisse nella sua abitazione – non si sia minimamente chiesto se la bambina venisse realmente accudita da un adulto mentre loro due trascorrevano del tempo assieme? Ha mai sentito Alessia chiamare la babysitter per sapere come stesse sua figlia? Com’è possibile che – pur essendo cresciuta nel quartiere – la gente sapesse così poco sul conto di questa mamma che non permetteva a Diana di giocare con i bambini del condominio? 

Formulare domande che abbiano come soggetto Alessia è complesso, soprattutto quando ci si ferma a pensare agli ultimi 6 giorni trascorsi dalla piccola Diana ma anche a quel senso di solitudine che ha offuscato totalmente la mente di sua madre. Quella solitudine che troppo spesso le donne provano dopo aver dato alla luce un neonato. Una solitudine che non deve restare inascoltata ma sulla quale ancora oggi ci sono troppi tabù. 

Chiedere aiuto non è facile, soprattutto quando la causa del tuo problema è tuo figlio. Alessia durante l’interrogatorio ha ammesso di essersi sentita “sempre giudicata”, ed è anche per questo che una madre decide di non cercare sostegno.   

Aiutare altresì qualcuno non è facile, a maggior ragione quando non viene esplicitamente richiesto. Tuttavia, i bambini non hanno colpe ma solo bisogno di maggiori tutele da parte della collettività, così come le mamme di empatia. 

Tendere una mano non costa nulla. Chiamare un numero verde per condividere un timore non costa nulla. Meglio fare la figura del ficcanaso piuttosto che assistere all’ennesimo infanticidio.