Esteri
L’Onu approva il piano pace Usa e la forza di stabilizzazione internazionale a Gaza
Di Giampiero Gramaglia
Nella guerra tra Israele e Hamas nella Striscia di Gaza, per la prima volta le Nazioni Unite dicono una parola importante, che potrebbe anche risultare decisiva: il Consiglio di Sicurezza dell’Onu dà l’ok al piano di pace elaborato dagli Stati Uniti e autorizza l’insediamento nella Striscia di una forza di stabilizzazione internazionale per garantire la sicurezza e consentire l’avvio della ricostruzione nel territorio devastato da due anni di conflitto sanguinoso. La risoluzione dell’Onu indica, inoltre, le linee un po’ nebulose di un possibile futuro percorso verso uno Stato palestinese indipendente.
Il New York Times parla “di un importante passo avanti nella crisi mediorientale”, con l’adozione, da parte del Consiglio di Sicurezza, del piano di pace Usa. Russia e Cina – scrive il quotidiano – si sono astenute dal voto che fornisce “un mandato legale alla visione dell’Amministrazione Trump” su come andare oltre il cessate-il-fuoco, in atto da oltre un mese e che, per quanto fragile e spesso violato, sostanzialmente tiene. La forza di stabilizzazione internazionale – ricorda il NYT – avrà anche il compito complicato di disarmare Hamas.
Per il portavoce dell’Onu Stephane Dujarric, il voto: “è un passo importante per il consolidamento del cessate-il-fuoco, che il segretario generale Antonio Guterres incoraggia tutte le parti a rispettare. È ora essenziale tradurre lo slancio diplomatico in misure concrete e urgenti sul campo”. L’Onu s’impegna a svolgere il ruolo affidatogli nella risoluzione e Guterres vuole procedere verso la fase 2 del Piano Usa, “che porti a un processo politico per il raggiungimento della soluzione a due Stati”.
Entusiasta e immediata la reazione del presidente Usa Donald Trump: “Congratulazioni al mondo per l’incredibile voto del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, che ha riconosciuto e approvato il Board of Peace, che sarà presieduto da me e includerà i leader più potenti e rispettati del mondo. Questa sarà ricordata come una delle più grandi approvazioni nella storia dell’Onu, porterà a ulteriore pace in tutto il mondo ed è un momento di vera portata storica!”.
Il magnate presidente ringrazia “le Nazioni Unite e a tutti i Paesi del Consiglio di Sicurezza”, citandoli uno per uno; e ringrazia i Paesi che non fanno parte del Consiglio di Sicurezza, ma che hanno fortemente sostenuto l’iniziativa, tra cui Qatar, Egitto, Emirati Arabi Uniti, Arabia Saudita, Indonesia, Turchia e Giordania. E Trump assicura: “Molti altri entusiasmanti annunci saranno fatti nelle prossime settimane”.
MO: com’è andata al Palazzo di Vetro La fumata bianca al Palazzo di Vetro, affatto scontata, è giunta poco prima della nostra mezzanotte. L’ambasciatore americano all’Onu Mike Waltz definisce “storica” la risoluzione adottata e afferma: “Sotto la presidenza di Trump gli Stati Uniti continueranno a portare risultati con i nostri partner”, salutando “l’opportunità di porre fine a decenni di spargimento di sangue e di rendere reale una pace duratura”.
Dall’approvazione della risoluzione dipendeva l’avvio della fase due del piano, quella più difficile, dopo la tregua, lo scambio dei prigionieri e il parziale ritiro dell’esercito israeliano. Sul voto pesava l’incognita del possibile veto della Cina e della Russia, che aveva presentato una bozza alternativa che non menzionava la smilitarizzazione della Striscia, si opponeva alla permanenza di Israele oltre la linea gialla, non citava il Board of Peace per l’amministrazione transitoria dell’ enclave presieduto da Trump e affidava al capo dell’Onu Guterres il compito di valutare le “opzioni sul dispiegamento della Forza internazionale di stabilizzazione” (sottraendole a Washington). Una linea condivisa pure da Cina e Algeria.
A premere per il rapido passaggio della risoluzione americana, oltre ai Paesi arabo-musulmani menzionati da Trump, c’era anche l’Autorità Palestinese. Il che ha favorito l’approvazione: Mosca e Pechino avevano infatti difficoltà a opporsi a un testo sostenuto dalla Palestina e dall’intera regione, oltre che da numerosi Paesi europei.
La risoluzione ha avuto la maggioranza dei voti (ce ne volevano almeno 9 su 15), con l’astensione di Russia e Cina. Per evitare che Mosca e Pechino mettessero il voto, la bozza di risoluzione era stata rinegoziata. A cose fatte, la Russia apprezza gli sforzi Usa sul Medio Oriente, ma puntualizza che nel piano “mancano elementi chiave”, mentre la Cina sottolinea che la sua priorità è “mantenere il cessate-il-fuoco” nella Striscia.
Il testo afferma che gli Stati membri del Consiglio di Sicurezza possono partecipare al cosiddetto Board of Peace (in carica sino al 31 dicembre 2027) e che “le condizioni potrebbero finalmente essere mature per un percorso credibile verso l’autodeterminazione e la statualità palestinese”, dopo che l’Autorità palestinese avrà attuato un programma di riforme e la ricostruzione di Gaza sarà stata avviata.
Per la forza di stabilizzazione internazionale, formata da Paesi prevalentemente musulmani, si conferma il compito di garantire un processo di smilitarizzazione della Striscia, inclusi il disarmo e la distruzione delle infrastrutture militari di Hamas.
Le critiche più forti erano e sono arrivate da Hamas e Israele. Un insieme di fazioni palestinesi guidate da Hamas aveva pubblicato domenica una dichiarazione contro la risoluzione, definendola un passo pericoloso verso l’imposizione di una tutela straniera sulla Striscia e sostenendo che essa serviva agli interessi israeliani – posizione ribadita dopo il varo della risoluzione -. Respinta inoltre qualsiasi clausola sul disarmo di Gaza o che leda “il diritto del popolo palestinese alla resistenza”. Dopo il voto, Hamas ha ribadito che la risoluzione “non rispetta i diritti dei palestinesi”.
Dal canto suo il premier israeliano Benjamin Netanyahu, sotto pressione dai ministri ultra-ortodossi di estrema destra del suo governo, aveva ribadito che Israele resta contrario a uno Stato palestinese e aveva promesso di smilitarizzare Gaza “con le buone o con le cattive”. Itamar Ben-Gvir, ministro della Pubblica sicurezza israeliano, esponente dell’estrema destra, chiede l’arresto del presidente dell’Anp Abu Mazen e l’assassinio di alti funzionari palestinesi, se l’Onu avalla lo Stato palestinese: “sono terroristi sotto ogni aspetto”, sostiene.





