Esteri

Cosa succede oltreoceano, dove la politica economica si sta decidendo in tribunale

19
Settembre 2025
Di Giampiero Gramaglia

(Articolo pubblicato su L’Economista, inserto de Il Riformista)
Negli Stati Uniti, la politica economica sembra ormai passare più dalle aule di tribunale che dalla Casa Bianca. Il secondo mandato di Donald Trump – o “Trump 2” – è segnato da decisioni sospese, contestazioni legali e un crescente ruolo della Corte Suprema.

Dal costo del denaro ai dazi, fino alle politiche su immigrazione e università, quasi tutte le misure annunciate dall’amministrazione vengono impugnate. Strumenti come decreti presidenziali o leggi approvate in stato d’emergenza facilitano i ricorsi, lasciando molte decisioni in sospeso fino ai verdetti. E se la giustizia americana è rapida, non è certo istantanea. A 250 giorni dall’insediamento, le misure effettivamente operative sono ancora poche.

L’unica eccezione è la nuova legge finanziaria, definita da Trump “grande e bella”, ma già in difficoltà: i tagli fiscali non sono stati accompagnati da una riduzione adeguata della spesa. Nonostante l’aumento degli introiti daziari, il tetto legale del debito federale è nuovamente a rischio. Entro fine anno, incombe la minaccia di un nuovo shutdown.

Nel frattempo, la giustizia si è espressa su un caso emblematico: la rimozione di Lisa Cook dal board della Federal Reserve. Prima donna afroamericana in quel ruolo, Cook era stata licenziata da Trump con un post su Truth Social, ben lontano dai canali ufficiali. L’accusa: documentazione falsa per ottenere migliori condizioni su un mutuo. Un tribunale ha però bloccato il provvedimento, dubitando che il presidente possa rimuovere un membro della Fed prima della scadenza del mandato. La legge prevede infatti che i vertici della banca centrale siano protetti dalle interferenze politiche, per garantirne l’autonomia.

Trump ha già annunciato ricorso contro la decisione favorevole a Cook, e la questione arriverà presto alla Corte Suprema. Intanto, Cook sarà presente alla prossima riunione del board, che dovrà decidere se tagliare o meno il tasso di sconto, ovvero il costo del denaro.

Il presidente sperava in un board più incline a tagliare i tassi, specie dopo le dimissioni a sorpresa di Adriana Kugler, nominata da Biden nel 2023. Ma la permanenza di Cook potrebbe mantenere l’equilibrio attuale, proprio mentre il timore d’una nuova fiammata inflattiva – anche a causa della guerra commerciale rilanciata da Trump – resta alto.

Paradossalmente, a dare una mano al presidente sono stati i numeri sull’occupazione. Dopo il licenziamento di Erika McEntarfer, responsabile dell’Ufficio Statistiche sul Lavoro, una revisione di routine ha mostrato che i dati da marzo 2024 a marzo 2025 erano stati sovrastimati di circa 911 mila unità. L’economia americana non andava così bene come sembrava.

Questo alimenta sospetti: con Biden i dati sarebbero stati gonfiati, ora forse vengono ritoccati al ribasso. In ogni caso, la percezione di un mercato del lavoro più debole potrebbe spingere la Fed ad allentare la stretta monetaria, abbassando i tassi per stimolare investimenti e occupazione. Al momento, l’inflazione resta sotto controllo, nonostante i dazi.

Secondo lo U.S. Census Bureau, però, l’inflazione ha eroso i guadagni salariali del 2024: il potere d’acquisto della classe media è stabile, mentre donne, minoranze e afroamericani risultano più poveri. Il 10% più ricco, invece, ha visto crescere la propria ricchezza.

Sul fronte dazi, la Corte Suprema ha accettato di pronunciarsi sulla loro legittimità, dopo che un tribunale ne ha messo in dubbio i fondamenti, pur lasciandoli provvisoriamente in vigore. L’amministrazione ha saltato l’appello, rivolgendosi direttamente alla Corte, dove sei giudici conservatori – tre nominati da Trump – costituiscono la maggioranza.

Il risultato è un quadro economico e politico sempre più condizionato dal potere giudiziario. E, in attesa delle prossime sentenze, la politica economica americana resta in bilico.