Non si può dar torto a Elly Schlein quando, con visibile soddisfazione, sottolinea l’oggettiva novità rappresentata da una coalizione di centrosinistra unita in tutte le regioni chiamate al voto in questa stagione autunnale.
Nell’ottobre 2022, quando il Pd era sotto la gestione di Enrico Letta, lo schieramento alternativo al centrodestra si divise in tre parti alle elezioni politiche: da una parte il Pd con Avs e boniniani; dall’altra i grillini; dall’altra ancora i centristi. E il centrodestra ebbe obiettivamente gioco facile a imporsi.
Stavolta, invece, con l’unica eccezione (sia detto a suo onore) di Carlo Calenda, tutti gli avversari di Meloni si sono ammucchiati, e questo – a dispetto delle ironie che a volte accompagnano le parole e le azioni di Schlein – è un risultato che la segretaria del Pd può rivendicare, e che realisticamente la porterà al successo forse in tre, forse addirittura in quattro regioni.
Il centrodestra farà bene a non sottovalutare questa novità. Se tutti gli avversari si
mettono insieme, batterli numericamente – anche in una conta politica nazionale – è tutt’altro che scontato.
E tuttavia chiunque abbia un minimo di senso politico, a sinistra, sa bene cosa manca a Schlein. In politica stare insieme è indubbiamente un valore, e la costruzione di un’alleanza è un risultato significativo. Ma per fare cosa? Per andare dove?
Ecco il punto: la neonata coalizione di centrosinistra o non ha uno straccio di intesa programmatica, oppure – quando ci sono idee condivise – si prepara allegramente a portare l’Italia in territori politici pericolosi.
In politica estera, più vicino a Pechino-Mosca-Teheran; in economia, su una linea di tasse e sussidi; rispetto alla giustizia, su una linea totalmente manettara; su energia e ambiente, sulla linea del no a tutto (no nucleare, no fonti fossili); sulle infrastrutture, sulla linea dei veti e dell’ostilità preconcetta a nuove realizzazioni.
Per carità, il centrodestra avrà pure mille lentezze e non poche timidezze. Ma dall’altra parte ciò che si promette è una corsa sull’autostrada dell’anti-Occidente e della decrescita.





