Food
Global Hunger: Shame on Us! La crisi alimentare globale e la nostra responsabilità
Di Paolo Bozzacchi
Non solo Gaza. Stop global hunger, shame on us! non è il titolo di una campagna di advocacy mondiale per lottare e sconfiggere definitivamente la fame nel mondo. È l’umile appello di The Watcher Post a prendere la fame di petto, a morsi appunto. A partire dall’autocritica. Sono circa 750 milioni le persone che nel mondo soffrono la fame. E addirittura 2,8 miliardi quelle che non possono permettersi una dieta sana (fonte: Global Hunger Index). È inaccettabile che della fame a livello mediatico ci si ricordi solamente quando peggiorano crisi umanitarie illuminate a giorno da conflitti bellici come quello nella Striscia di Gaza. Gli ultimi dati a cura di FAO e PAM (giugno 2025) parlano di «Allarme Rosso» per anzitutto 5 hotspot della fame nel mondo: Palestina, Sudan, Sud Sudan, Mali e Haiti. Fame estrema e rischio di denutrizione e morte. Oggi, qui, ora.
Si tratta di una situazione estrema che accomuna tre continenti: Asia, Africa e America. Questo grado di diffusione dovrebbe far smuovere la diplomazia internazionale tutta ad alzare una vera e propria bandiera bianca. Non di resa, ma di presa: di coscienza. Che però si trasformi subito in azioni umanitarie più che urgenti e coordinate che possano ridurre l’escalation dei conflitti, arginare gli sfollamenti e organizzare una risposta efficace e duratura.
Le comunità di Palestina, Sudan, Sud Sudan, Mali e Haiti sono già alle prese con la carestia e stanno affrontando livelli catastrofici di insicurezza alimentare talvolta acuita da guerre locali o internazionali, oppure da shock economici e disastri naturali. Il rapporto FAO-PAM è stato finanziato dall’UE attraverso il Global Network Against Food Crises (Gnafc), e non si limita a descrivere la situazione in cui versano i 5 hotspot sopracitati. Allarga lo sguardo ad altri 13 Paesi: Yemen, Repubblica democratica del Congo, Myanmar, Nigeria, Burkina Faso, Ciad, Somalia e Siria.
Qu Dongyu, Direttore Generale FAO: «Dobbiamo agire ora e agire insieme, per salvare vite umane e salvaguardare i mezzi di sussistenza; proteggere le aziende agricole e il bestiame, affinché le persone possano continuare a produrre cibo dove si trovano, anche nelle condizioni più difficili e ardue. Non è solo urgente, è essenziale». Cindy McCain, direttrice esecutiva PAM: «Sono cruciali investimenti urgenti e costanti nell’assistenza alimentare e nel sostegno alle attività di ripresa. La finestra per scongiurare una fame ancora più devastante si sta rapidamente chiudendo».
Sudan in carestia e verso il collasso economico
Confermata l’anno scorso, la carestia del Sudan persisterà a causa del conflitto in corso e degli sfollamenti, soprattutto nelle regioni del Grande Kordofan e del Grande Darfur. Si prevede che gli sfollamenti aumentino per il resto del 2025, mentre l’accesso umanitario resta limitato. Circostanze che spingono il Paese verso il rischio parziale di collasso economico, con inflazione elevata che limita gravemente l’accesso al cibo. Oltre 24 milioni di persone in Sudan affronteranno insicurezza alimentare acuta, di cui oltre 600mila considerate a livello catastrofe.
Palestina verso la carestia
Aumenta la probabilità di carestia nella Striscia, visti gli ostacoli da superare localmente per l’assistenza umanitaria vitale, quella alimentare e non alimentare. Ne consegue il collasso economico, frutto degli elevati prezzi dei prodotti alimentari, uniti all’esaurimento dei mezzi di sussistenza e al blocco commerciale. Per gli oltre 2 milioni di persone nella Striscia, l’insicurezza alimentare è a livello di crisi o peggiore, con 470mila che affrontano livelli catastrofici di fame.
Sud Sudan: crisi economica e climatica
In Sud Sudan sono le tensioni politiche unite al rischio inondazioni e alle difficoltà economiche a tenere banco. Quasi 8 milioni di persone (poco meno del 60% del totale della popolazione) affrontano livelli di insicurezza alimentare acuta, di cui 63mila a livello catastrofe. Due regioni locali viaggiano spedite verso la carestia.
Haiti: sfollamenti e aiuti umanitari a singhiozzo
Insicurezza e violenza delle gang stanno distruggendo Haiti. Sfollamenti di massa ed aiuti umanitari a singhiozzo completano il quadro. La capitale Port-au-Prince è l’area più in sofferenza, dove 8400 sfollati interni affrontano insicurezza alimentare acuta a livello di catastrofe.
Mali: guerra e prezzi alle stelle
Il conflitto in corso e i prezzi dei cereali alle stelle hanno eroso la capacità di adattamento delle famiglie più in difficoltà. La situazione è in peggioramento.
Myanmar: post terremoto e guerra
Oltre alla guerra il disastro naturale, frutto del terremoto. La ricostruzione non procede adeguatamente a causa della guerra. Ci sono sfollamenti diffusi, gravi restrizioni di accesso e prezzi dei prodotti alimentari proibitivi.
Molta Africa: i Paesi che sono usciti dalla lista hotspot della fame
Qualche buona notizia c’è. Ci sono ben 11 Paesi di cui 10 africani che sono stati rimossi dall’ONU dalla lista di quelli considerati hotspot della fame. Quelli africani sono: Etiopia, Kenya, Lesotho, Malawi, Mozambico, Namibia, Niger, Zambia e Zimbabwe. Il risultato è frutto del lavoro costante delle Istituzioni internazionali, unito alle migliori condizioni climatiche per i raccolti e ai minori eventi meteorologici estremi che hanno alleviato la pressione sulla sicurezza alimentare. L’undicesimo Paese rimosso dalla lista (unico non africano) è il Libano, dove decisivo è stato il disimpegno militare nell’area.





