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Il Pd cambia ruolo: da gran cuoco a pollo allo spiedo nella solita vecchia cucina giustizialista
Di Daniele Capezzone
Tutti sappiamo cosa sia la forza di gravità: è la forza – appunto – che spinge inesorabilmente cose e corpi verso il basso. Ecco, da oltre trent’anni in Italia assistiamo all’attivarsi (scientifico e privo di eccezioni) di una sorta di “forza di gravità giudiziaria”, in virtù della quale, specie all’approssimarsi di un ciclo elettorale, le inchieste aumentano di numero e accelerano nella loro intensità, le procure si attivano a grappolo, i media fanno accompagnamento (quasi mai critico), la politica risulta sotto schiaffo, e l’intera agenda, l’intero discorso pubblico del paese sono dominati in lungo e in largo dal fattore giudiziario.
Dirà il lettore: e qual è la novità? Le cose vanno così dal 1992-93, con precisi obiettivi anche politici, cioè di uso politico delle inchieste da parte della sinistra: una prima volta, contro i partiti del pentapartito (per aprire la strada – pensavano i compagni – all “gioiosa macchina da guerra” di Occhetto); una seconda volta, per venti lunghi anni, contro l’arcinemico Silvio Berlusconi; una terza volta, contro Matteo Salvini, “colpevole” di aver difeso per davvero i confini dall’immigrazione clandestina.
Vero, le similitudini con il passato sono impressionanti: si potrebbe perfino parlare di coazione a ripetere, del rinnovarsi di uno schema sempre uguale a se stesso. E però stavolta ci sono due notevolissime novità da cogliere.
La prima ha a che fare con una scadenza oggettiva che sta sullo sfondo, e cioè il referendum confermativo della riforma della giustizia. Facciamo un po’ di conti: una riforma costituzionale richiede quattro passaggi; due, nel caso di specie, sono già avvenuti; realisticamente tra settembre e dicembre le due Camere faranno la terza e la quarta approvazione della riforma. Morale: già dalla primavera del 2026, gli italiani potrebbero essere chiamati alle urne per mettere il sigillo referendario a una riforma storica. Non parliamo solo della separazione delle carriere (sconfitta simbolica del giustizialismo), ma anche – e direi soprattutto – del sorteggio per i membri del CSM, vera pietra tombale per le correnti della magistratura così come le abbiamo conosciute. Ecco, ferma restando la buona fede di tutti, qualunque atto giudiziario, qualunque inchiesta, qualunque sentenza, da ora fino alla primavera prossima, rappresenterà oggettivamente lo sfondo, la “scenografia”, l’”arena” di una campagna referendaria il cui esito è temuto come una sciagura dal partito giustizialista che è fortissimo nei media (e non solo lì). Dunque, ogni colpo di coda è possibile, anzi probabile.
La seconda novità riguarda la sinistra, tradizionalmente abituata, come accennavo, a lucrare politicamente sulle inchieste, o comunque avvezza a considerare le inchieste (di nuovo: la forza di gravità…) come un martello da dare in testa ai nemici politici. E invece stavolta le cose sembrano andare diversamente, da Milano (dove far finta di nulla è sempre più difficile) alle Marche (dove i compagni hanno temporaneamente cercato di rammendare la situazione).
Non solo: ad aggravare le cose ci si mette Giuseppe Conte che punta a un profitto politico proprio sulle disgrazie piddine, e anche (casualità? il destino sa essere un grande regista…) al fatto che qualche procura sta bastonando proprio gli alti papaveri del Pd. Sarà sicuramente un capriccio del caso, lo ripeto: ma a questo punto gli avversari della riforma della giustizia potranno sostenere che i magistrati italiani – guarda che imparzialità… – colpiscono tutti, a destra e a manca, e non fanno sconti a nessuno. E allora (questo sarà l’argomento anti-riforma) perché smontare un sistema-giustizia che colpisce la politica senza guardare in faccia a nessuno?
Si tratta di tutta evidenza di una tesi fragile. La giustizia italiana deve essere riformata. Occorre distinguere radicalmente il compito di chi giudica da quello di chi sostiene l’accusa. E occorre ancora di più sradicare la presa delle correnti organizzate sulla macchina giudiziaria.
A maggior ragione, dunque, due sfide si pongono davanti ai principali schieramenti. Il centrodestra non deve fermarsi, e anzi deve rivendicare davanti agli italiani la riforma che è in via di compimento: c’è una maggioranza (la chiamerei “silenziata”, più che silenziosa) di elettori che attende questo cambiamento ed è pronta ad approvarlo. Il centrosinistra, dal canto suo, farebbe bene (ci sarà qualche testa lucida pronta a comprenderlo?) a non allinearsi al trenino giustizialista. Stavolta l’oggettiva triangolazione tra azione delle procure, eco delle gazzette manettare (quasi tutte) e sponda politica (grillini in primis) rischia di trasformare il Pd da gran cuoco della cucina giustizialista a tacchino da mettere allo spiedo. Anzi, mi dicono dalla regia: non tacchino ma pollo.





