Politica

Difesa, Silli: «Oto Melara resti italiana. In politica estera conta solo interesse nazionale»

30
Dicembre 2021
Di Flavia Iannilli

Intervista a tutto campo al deputato Giorgio Silli, Segretario d’Aula alla Camera e componente della Commissione Difesa.

No, non sarà un’asta vinta dal miglior offerente. E no, la scelta dell’acquirente non sarà condizionata dal Paese di provenienza. Questo emerge, negli ultimi giorni, dalle mosse dell’esecutivo e da Alessandro Profumo, ceo di Leonardo, sulla questione Oto Melara, l’azienda italiana che rappresenta un’eccellenza nel settore difesa, finita al centro di una trattativa internazionale per la definizione della nuova proprietà. Dall’Oto Melara all’equilibrio geopolitico del Medio Oriente, fino al tema dell’export del Made in Italy, l’onorevole Giorgio Silli (Coraggio Italia), membro della Commissione Difesa della Camera, intervistato da The Watcher Post, fa il punto sulle questioni calde che hanno animato gli ultimi mesi della politica estera nazionale.

Medio Oriente, diviso tra Paesi che dimostrano interessanti aperture culturali, sociali e politiche e altri più chiusi e radicali. A un anno e mezzo dagli Accordi di Abramo la situazione sembra avere trovato un equilibrio; di mezzo c’è anche il cambio di amministrazione americana. Che situazione si sta configurando secondo lei in questi territori? 
«Se qualche anno fa ci avessero detto che si sarebbero firmati questi accordi, non ci avremmo creduto. Gli Accordi di Abramo assumono un’importanza particolare non solo per i paesi che hanno posto la firma, ma anche per la presenza dell’Arabia Saudita che siede come terza parte garante. Sono paesi con cui è necessario instaurare, o mantenere, rapporti economici e commerciali. Alcuni stati che gravitano intorno agli Accordi hanno voglia di emanciparsi, nel rispetto della propria cultura e religione. L’Arabia, ad oggi, sta aprendo all’emancipazione femminile e questo è un grande passo. Come lo sono la firma e il dialogo con un paese, come Israele, che tempo fa non voleva riconoscere. Gli Accordi, firmati sotto la presidenza Trump, fanno i conti con una nuova amministrazione che deve avere chiaro da che parte schierarsi. Una posizione che dovrebbe prendere anche l’Italia stessa. Quando si parla di guerra, anche se io preferisco “competizione”, bisogna essere convinti di stare dalla parte del giusto, tenendo presente che in politica estera non ci sono buoni o cattivi, ma esclusivamente l’interesse nazionale». 

L’onorevole Giorgio Silli

Circa un mese fa si è parlato del caso Oto Melara, nell’ottica delle strategie di difesa nazionali lei che idea si è fatto? È bene fare uno sforzo interno per mantenere la sovranità italiana o è un asset a cui possiamo rinunciare?
«Mi dispiace moltissimo, sia da italiano che da imprenditore. Non è la prima volta che vediamo “parti” di Italia che rischiano di essere acquistate da Paesi esteri. Anche da uomo di difesa si tratta di una una situazione complessa e pericolosa. La questione Oto Melara grida vendetta; al pari della vendita ai libici di una fetta della Fiat. Io penso che Leonardo dovrebbe vendere a Fincantieri in modo che Oto Melara rimanga una società tricolore».

L’aumento dei costi delle materie prime e dell’energia ha un impatto importante sull’export italiano. Quali sono i rischi per il Made in Italy?
«
I rischi sono enormi. È una situazione devastante, in particolare per l’incidenza dell’energia nella produzione dei tessuti che in certi casi è aumentata anche del 30%. Inoltre l’Italia paga da sempre la mancanza di materie prime, strettamente legata alla carenza di una vera storia coloniale; motivo per cui siamo un paese trasformatore. Questo mina la competitività italiana rispetto ad altri Paesi che hanno continuato a mantenere rapporti commerciali con le proprie ex colonie. Una realtà che tocca tutti ma che spesso non viene compresa. Spiegare all’italiano medio che la possibile invasione dell’Ucraina da parte di Putin non rimane una questione ancorata a quei confini è difficile, ma importante allo stesso tempo, perché incide sui costi delle materie prime e sull’export. Una difficoltà ulteriore è legata al mercato globale delle materie prime: il gas torna ai prezzi di partenza o continua a salire? Il rischio è che molti manufatti potrebbero non essere più vendibili o non avere più prezzi di mercato appetibili. L’Italia ha subìto molto negli ultimi 10-15 anni, per quanto riguarda le ultime partite importanti nel Mediterraneo, nonostante lo sviluppo del gas in Libia sia legato storicamente a Eni. Ad oggi siamo una nave in tempesta».

Seguendo questo filone come valuta la candidatura di Roma come sede dell’Expo 2030? Ci sono possibilità?
«Tutto sta nella volontà. Con le Olimpiadi non abbiamo fatto una bella figura facendo riferimento alla corruzione. Se fossimo tutti uniti e compatti fin da subito sarebbe diverso. Ci deve essere una convinzione che si rifletta sui governi locali. Serve un asse che unisca Governo e politici locali, solo con questa sinergia possiamo essere ottimisti».

La Francia sta studiando una riforma relativa al trattato di Schengen, funzionale alla prossima elezione all’Eliseo, secondo la quale il trattato verrebbe rafforzato, ma verrebbe anche ripristinato un forte controllo dei confini interni. Questo penalizzerebbe i Paesi in cui avviene lo sbarco, avvantaggiando quelli seconda destinazione. Secondo “Il Giornale” Macron starebbe studiando tale riforma, in vista del turno di presidenza francese, per ingraziarsi il voto delle destre. Qual è la sua posizione, qualora questa proposta andasse in porto?
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I francesi vogliono la botte piena e la moglie ubriaca in questo caso. Vero è che nella storia dell’Unione Europea sono sempre stati “quelli che hanno puntato i piedi”. La difesa comune europea fu uno dei primi argomenti sollevati negli anni ’50 dalla Francia; un progetto che stava diventando reale fino al voto contrario proprio da parte dei francesi. La differenza tra noi e la Francia è che loro guardano ai loro interessi e non ne fanno un segreto, mentre l’Italia se ne vergogna. Macron può avere qualche mese di autonomia per prendere qualche voto in più, ma l’immigrazione rimane un ginepraio a livello legislativo; pur essendo un fenomeno normalissimo che, ad oggi, è diventato un problema. Una difficoltà dovuta alla mancanza di una previsione e di una politica a lungo respiro. La domanda è: come vediamo l’immigrazione? È sbagliato prenderla come un nemico; piuttosto è necessario vederla come una variabile e governarla come tale. Sono tante le varianti che, una realtà seria come l’Europa, dovrebbe valutare per iniziare a fare una politica comune europea seria, anche sull’immigrazione».